Il contribuente proponeva ricorso avverso il suddetto avviso dinanzi alla competente Commissione tributaria, la quale lo accoglieva parzialmente. L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Puglia, che lo rigettava.
Pertanto, quest’ultima proponeva ricorso per cassazione, eccependo che, ai fini dell’esercizio del potere integrativo, l’elemento nuovo sarebbe stato costituito dall’accertamento di un reddito di capitale, derivante dalla partecipazione ad una società di capitali, e che la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere privi di efficacia probatoria gli elementi presuntivi dedotti nell’atto impositivo.
Sul punto, occorre innanzitutto ricordare come l’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973, nell’individuare il presupposto del potere di accertamento integrativo, preveda che “… l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate”.
Quindi, tale norma prevede una deroga al principio di unicità della rettifica, che vieta l’emissione di nuovi avvisi di accertamento nei confronti del medesimo contribuente e in relazione al medesimo periodo di imposta, solo se sopraggiungono nuovi elementi. Tuttavia, cosa si intende per “nuovi elementi”? La risposta è data proprio dalla pronuncia in commento.
Infatti, la Suprema Corte ha affermato tout court che “i dati non ancora in possesso dell’ufficio fiscale che ha emesso l’avviso di accertamento al momento dell’adozione di esso costituiscono, ai sensi dell’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973, elementi sopravvenuti, che legittimano l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento mediante notificazione di nuovi avvisi, dovendosi limitare il contenuto preclusivo della norma al solo divieto di fondare il suddetto avviso integrativo sulla base di una mera rivalutazione o di un maggior apprendimento di dati già originariamente in possesso dell’ufficio procedente“.
Conseguentemente, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili, ammissibile in caso di società di capitali a ristretta base sociale (cfr., Cass., sentenza n. 15824/2016), costituisce un elemento sopravvenuto che legittima l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento già notificato ex articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973.
Ciò, sulla base della considerazione per la quale la sopravvenienza di “nuovi elementi” richiesti dalla norma per l’emissione dell’accertamento integrativo non può essere restrittivamente interpretata quale sopravvenienza di “nuovi elementi reddituali”, poiché l’emersione di nuovi cespiti imponibili legittima senz’altro l’adozione di un autonomo avviso di accertamento (cfr., Cass., sentenza n. 576/2016).
Quindi, l’ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge citata, che richiede genericamente la sopravvenienza di “nuovi elementi”, legittima il ricorso all’avviso di accertamento integrativo, allorché l’Ufficio, successivamente all’accertamento originario, venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento della emissione dell’avviso originario.
In virtù di ciò, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ed ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.