27 Luglio 2018

Legittimo separare l’attività di holding da quella industriale

di Davide Albonico
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Numerosi sono i gruppi che hanno la volontà o, meglio ancora, l’esigenza di scorporare le attività di holding da quelle industriali e che, pur in assenza di vantaggi fiscali indebiti e in presenza di valide ragioni economiche, sono accusati dall’Amministrazione finanziaria di porre in essere condotte abusive.

Di tutt’altro avviso invece la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 8893 del 23.10.2017 depositata l’11 aprile 2018, “sdogana”, una volta per tutte, tali operazioni di riorganizzazione societaria, ponendo quale punto fermo il principio, costituzionalmente garantito, di libera iniziativa economica privata.

I gruppi possono così, al sussistere di determinate condizioni, organizzare come meglio credono la propria struttura senza per questo ricadere nella fattispecie di elusione fiscale, rectius, abuso del diritto.

In particolare, secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, le norme antielusive non devono incidere sulla libertà dell’imprenditore di poter scegliere tra diverse operazioni, anche se possono comportare un differente carico fiscale (Corte di Cassazione, sentenze n. 4148/2018, n. 4603/2014, n. 8487/2009, CTR Lombardia, sentenza n. 3916/2017).

Specularmente, integra gli estremi della condotta elusiva quella costruzione che, nei processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, abbia quale elemento essenziale lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il giudice di legittimità dovrà indagare se le ragioni economiche delle parti contraenti siano state perseguite con i giusti strumenti negoziali. Mentre l’Amministrazione finanziaria potrà disconoscere i vantaggi tributari conseguiti solamente in presenza di un valido strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dal contribuente, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito dallo stesso (Corte di Cassazione, sentenza n. 439/2015).

Con la sentenza in commento, la Cassazione ha così definitivamente annullato gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’elusività di una complessa operazione di riorganizzazione societaria di un gruppo operante nel settore oil & gas.

Secondo gli Ermellini, in assenza di ulteriori elementi probatori, non può essere eccepita dall’Amministrazione finanziaria la ristrutturazione funzionale delle attività di un gruppo.

Ripercorrendo i fatti di causa, la controversia origina in esito alle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza ai fini Iva, Irpeg ed Irap, relativamente agli anni di imposta 1998 e 1999.

In particolare, veniva contestata l’elusività di una serie di operazioni, consistenti in una fusione per incorporazione e nella successiva cessione di due rami di azienda dell’incorporante – comprendente anche il complesso aziendale proveniente dalla incorporata, che hanno generato una plusvalenza rilevante, assoggettata all’imposta sostitutiva del 27% anziché all’Irpeg con aliquota ordinaria del 37%.

In primo grado venivano accolti entrambi i ricorsi, preliminarmente riuniti, proposti dalle società facenti parte del gruppo. A seguito dell’appello avanzato dall’Agenzia delle entrate, la CTR Toscana, con la sentenza n. 74 del 21.05.2009, confermava parzialmente la decisione di primo grado.

Nello specifico, il giudice di appello riteneva infondata la tesi dell’Amministrazione finanziaria secondo la quale tale plusvalenza avrebbe dovuto scontare la maggiore aliquota ordinaria del 37% anziché quella sostitutiva del 27%.

Le conclusioni dei giudici della Suprema Corte di Cassazione, alla quale aveva proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, non lasciano però più spazio ad alcun dubbio. Non essendovi elementi sufficienti, vengono difatti rigettati tutti i motivi eccepiti, escludendo sostanzialmente qualsiasi intento elusivo posto in essere dal gruppo che, al contrario, spinto dall’esigenza di separare l’attività di holding da quella industriale, ha agito nella piena autonomia negoziale e libertà di poter scegliere la configurazione più consona alla finalità perseguita.

Tale sentenza, come già ricordato, si inserisce in un filone giurisprudenziale, ormai maggioritario, che riflette anche le recenti modifiche intervenute nell’ordinamento tributario consistenti

  • nell’introduzione della nuova nozione di abuso del diritto, contenuta nell’articolo 10-bis L. 212/2000 – meglio noto come “Statuto dei diritti del contribuente”, e
  • nella contestuale abrogazione della norma contenente le disposizioni antielusive, di cui all’articolo 37-bis D.P.R. 600/1973.

In ragione di tali novità, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, siano rivolte essenzialmente alla realizzazione di vantaggi fiscali indebiti.

Resta invece ferma la libertà di scelta del contribuente tra i diversi regimi opzionali offerti dalla legge, anche se comportanti un diverso carico fiscale, purché sorretta da valide ragioni economiche non marginali.

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