L’entità dei componenti reddituali non giustifica il prelievo Irap
di Alessandro CarlesimoIl requisito dell’autonoma organizzazione è da tempo fonte di dispute tributarie, che scaturiscono dal diniego delle istanze di rimborso dell’Irap avanzate da quegli esercenti che, per loro caratteristiche, non impiegano beni strumentali o forza lavoro significativi nello svolgimento delle proprie attività professionali. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’autonoma organizzazione ricorre quando, congiuntamente:
- il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative altrui;
- il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Cassazione, n. 9451/2016).
Tuttavia, svariate Commissioni Tributarie adottano un approccio quantitativo basando il proprio giudizio sul semplice riscontro dei dati economico-reddituali dichiarati dal contribuente, senza soffermarsi sulla natura dei costi sostenuti.
La registrazione di compensi e spese di un certo ammontare non è però necessariamente indice della sussistenza di un apparato strumentale di mezzi e persone eccedente il minimo essenziale. Ai fini dell’integrazione del presupposto impositivo, a rilevare è infatti la modalità di produzione del reddito e non la misura dei dati reddituali del contribuente: l’Irap è un tributo di natura “reale”, come tale, destinato a colpire non un reddito personale, ma il valore aggiunto prodotto da attività economicamente organizzate.
Questo tema è stato ulteriormente analizzato nella recente ordinanza della Cassazione n. 7652/2020, la quale offre validi spunti sulla corretta interpretazione dell’articolo 2 (Decreto Irap) in rapporto agli elementi reddituali del contribuente.
Nella vicenda affrontata dagli Ermellini, un promotore finanziario impugnava il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle Entrate formatosi sulla domanda di rimborso del tributo versato nelle annualità dal 2004 al 2008. Quest’ultimo ricorreva sia in CTP che in CTR senza esito favorevole. Nelle more del giudizio, l’Agenzia delle Entrate desumeva l’autonoma organizzazione dal sostenimento di elevati costi, in gran parte imputati alla voce generica “altri componenti negativi”.
La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente reputando fuorviante l’approccio della CTR, la quale avrebbe erroneamente considerato la sussistenza di costi elevati come prova della struttura organizzativa.
Il provvedimento, a ben vedere, si inserisce nel solco giurisprudenziale che svincola l’autonoma organizzazione da parametri quantitativi ed in base al quale gli elevati componenti di reddito non costituiscono, di per sé, sinonimo dell’autonoma organizzazione (ex multis, cfr. Cassazione, n. 27032/2013).
In particolare, i giudici rilevano in modo inequivoco che, “ il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (es. studio professionale, veicolo strumentale, etc.), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo”.
Ne consegue che, in primis, il sostenimento elevato di ingenti spese non è rappresentativo di un apparato strumentale diretto alla produzione di beni e di servizi, posto che le stesse potrebbero essere incorse a fronte necessità personali del contribuente, piuttosto che a fronte dell’allestimento e mantenimento di un’unità produttiva dotata di autonomia funzionale. Occorre dunque condurre un’indagine qualitativa sui componenti di reddito, atta ad appurare la presenza di un complesso organizzativo in grado di fornire un apporto apprezzabile in termini un incremento della prestazione del professionista (Cassazione n. 1723/2018).
Tale assunto è ancor più condivisibile alla luce di quanto enunciato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 156/2001, la quale ha chiarito che il presupposto impositivo dell’Irap è rappresentato dall’attitudine dell’unità produttiva a generare valore aggiunto, da intendersi quale nuova ricchezza che viene, mediante l’Irap, assoggettata ad imposizione prima ancora di essere distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione. A rilevare è quindi, la correlazione tra la produzione generata e le risorse attinte per realizzarla e non il valore assoluto dei costi sostenuti, né il rapporto percentuale tra questi e i compensi.