L’errata competenza economica va provata dall’Ufficio
di Marco BargagliCome noto, il testo unico delle imposte sui redditi contiene le norme generali sui componenti del reddito d’impresa, delineando precise regole in ordine alla loro deducibilità e corretta imputazione temporale.
Anzitutto, a norma dell’articolo 109 Tuir, i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.
In deroga a tale disposizione, i ricavi, le spese e gli altri componenti reddituali di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza ossia determinabile in modo obiettivo il relativo ammontare, concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Con particolare riferimento all’esercizio di competenza, il legislatore ha posto un netto distinguo tra cessioni di beni e prestazioni di servizio.
In merito, con lo scopo di determinare la corretta collocazione temporale di costi e ricavi, la norma prevede che, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza:
- i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale;
- i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi.
Di contro, il principio di inerenza è sancito dall’articolo 109, comma 5, Tuir, a mente del quale le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.
I principi di inerenza e competenza sono illustrati anche dalla prassi amministrativa, la quale ha posto in evidenza le particolari caratteristiche e le differenze tra i precetti imposti dalla norma fiscale, rispetto ai principi generali sanciti dal codice civile.
In relazione al principio di competenza, ad esempio, viene richiamato, ai fini civilistici e contabili, l’art. 2423-bis cod. civ., in forza del quale “si deve tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso e del pagamento”.
Sul punto, il principio di competenza previsto dalla norma tributaria prevede criteri molto differenti.
Quindi, “mentre per le componenti positive la regola fiscale viene a coincidere, almeno tendenzialmente, con i criteri civilistici in tema di bilancio che ne consentono la contabilizzazione nel periodo di competenza solo allorché, in linea con il principio della prudenza, gli stessi, dando origine a profitti realizzati, presentino caratteristiche di stabilità e definitività, per le componenti negative, invece, la regola fiscale si discosta dai principi del codice civile, in quanto laddove il bilancio rilevi perdite e/o rischi oggetto di sole previsioni, in dichiarazione dovranno essere apportate le relative variazioni in aumento; per effetto delle segnalate diversità, la competenza civilistica viene normalmente definita “economica”, mentre quella fiscale viene definita “temporale”. (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 3 “Il riscontro analitico – normativo del reddito d’impresa”, pag. 88 e ss.).
Interessanti chiarimenti sul tema dell’onere della prova, in ipotesi di contestazioni circa l’errata competenza economica, sono recentemente intervenute da parte della suprema Corte di Cassazione, sezione 5^ civile, con la sentenza n. 15839/2018, pubblicata in data 15 giugno 2018.
Gli ermellini, sulla base di un consolidato orientamento, hanno chiarito che:
- l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi sostenuti dall’impresa, indispensabile per ottenerne la deduzione, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili;
- in tema di reddito d’impresa, i corrispettivi conseguiti per prestazioni di servizi devono essere imputati all’esercizio in cui le prestazioni sono state ultimate, salvo che non ne sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, “sicché incombe sull’Amministrazione finanziaria, che, assumendo un’erronea imputazione, pretenda una maggiore imposta, dimostrare il momento di ultimazione delle prestazioni e sul contribuente, il quale abbia registrato i ricavi in altro periodo d’imposta, che solo in tale anno questi sono diventati certi e determinabili nell’ammontare, mentre non lo erano alla chiusura del precedente esercizio, né alla scadenza dei termini per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi”.
Un ulteriore importante tema trattato riguarda l’esatta quantificazione dei componenti reddituali: sul punto, i giudici di piazza Cavour hanno sottolineato che, nel caso di incertezza nell’an o di indeterminabilità nel quantum di detti componenti si applica, “in deroga al generale principio di competenza, il principio di cassa, secondo cui gli stessi possono essere imputati all’esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza“.
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