L’esclusiva dimenticata
di Michele D’Agnolo
Com’è noto, la fusione tra gli albi dei dottori commercialisti e dei ragionieri, avvenuta ormai quasi un decennio or sono, ha portato in dote un nuovo ordinamento professionale. Pochi però si sono avveduti che nelle pieghe del Decreto Legislativo 28 giugno 2005, n. 139, che attualmente regolamenta l’oggetto della professione dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, tra molte conferme, si annida anche una interessante e poco sfruttata fonte di diversificazione e di ispirazione. Eppure il concetto si trova in bella vista nella prima frase dell’articolo 1, comma 1 dell’Ordinamento: “Agli iscritti” …, “è riconosciuta competenza specifica in economia aziendale”.
Che si tratti di un vantaggio “ingiusto” è del tutto evidente. Oltre al fatto che non tutti i corsi di laurea propedeutici all’esame di stato approfondiscono le materie aziendali, ma si concentrano più tipicamente su quelle ragioneristiche e giuridiche, solo in alcune sedi i temi degli esami di stato si soffermano con una certa frequenza anche sugli strumenti di gestione manageriale. E, alla fine, sono veramente un esiguo manipolo i colleghi che si occupano correntemente della materia.
Prescindendo da dibattiti teorici giova ricordare che, nella sua più ampia accezione, l’economia aziendale è quella branca dell’economia che studia sia con approccio qualitativo che quantitativo, le tecniche, i processi di produzione e consumazione delle imprese/aziende e l’aspetto scientifico legato alla gestione aziendale durante le sue diverse fasi. L’economia aziendale si può approfondire, sia per funzione o problematica aziendale che per singolo settore di business.
Va sottolineato che a nessuna altra categoria professionale esistente in Italia è stata riconosciuta “specifica competenza” in materia. A ben vedere quindi, ci è stata attribuita addirittura una sorta di piccola preminenza ope legis non solo sui Consulenti di Direzione, ma anche sugli Ingegneri Gestionali e, per la parte di competenza, gli Psicologi del Lavoro.
Perché dovremmo interessarci di economia aziendale?
- Innanzitutto per salvare le nostre aziende clienti, le quali non hanno più da tempo, purtroppo, problemi di fiscalità ma di sopravvivenza.
- In secondo luogo, per imparare a gestire meglio i nostri studi.
- Terzo, per sopperire con una nuova linea di business agli utili sempre più esigui derivanti dagli adempimenti.
- Senza contare che, comunque vadano le cose, di riflesso sapremo come intraprendere una qualsiasi nuova attività per guadagnarci il pane, anche in futuro.
Imparare il nuovo mestiere di managerial accountant richiede anni, proprio come imparare quello di tax accountant ci ha richiesto molti sacrifici. Tuttavia è indispensabile adeguare il nostro ruolo alle mutate circostanze o le circostanze faranno tranquillamente senza di noi.
Il primo problema è che, come al solito, bisogna rimboccarsi le maniche e rimettersi a studiare. Travolti come siamo dagli adempimenti, non ce la possiamo fare. Il secondo problema è che nessuno ti insegna come si fa un nuovo mestiere e non ci si può certo inventare sulla pelle dei clienti. E non c’è neanche il tempo di andare a fare pratica da qualcuno.
Ma forse la cosa più difficile è ammettere che quelle materie che illo tempore snobbavamo perché non erano così pesanti da studiare come il diritto tributario, non erano poi così tanta fuffa come sembrava.
Certo, ci sono già molte migliaia di preparati e agguerriti ingegneri gestionali, psicologi del lavoro e consulenti di direzione, ma nessuno ha il privilegio di avere un cliente che ti capita a studio ogni cinque del mese a portarti le carte per la liquidazione IVA. E nessun consulente di direzione riesce ad avere la marginalità sufficiente per lavorare per le microimprese, anche perché non ne ha i dati, mentre noi li elaboriamo diffusamente.
Un non secondario problema sarà quello di vedersi riconoscere il valore aggiunto delle idee, o detto con più semplicità, farsi pagare. Il cliente, lo abbiamo abituato male, e infatti ci estorce questi consigli al bar, perché sa che tendenzialmente non gli costa più di un caffè e una brioche.
Il cliente, inoltre, non è abituato a vederci positivi e propositivi e ormai ci associa all’omino delle tasse. Sono anni che portiamo solo cattive notizie, e sempre assieme al bilancio, cioè quando è troppo tardi per fare qualcosa. Ma una buona notizia c’è: mentre in epoche non sospette intrudersi nella gestione veniva considerato quasi un affronto, oggi il cliente, essendo alla frutta, ascolta volentieri anche i nostri consigli. Il problema è semmai, di darne di validi e che non siano banalità.
Qualche pioniere c’è. I più avanti di noi si sono attrezzati già da tempo con l’analisi di bilancio e una sparuta avanguardia arriva al controllo di gestione e al budget. Ma ci sono ancora ampi settori disciplinari scoperti. La gestione finanziaria e la strategia, per parlare di cose che ci sono più affini. Ma anche Il marketing e le vendite, la gestione delle risorse umane, l’organizzazione amministrativa e della produzione, la tecnologia di produzione e l’informatica, la gestione della conoscenza.
Ma l’apporto più grande che possiamo dare è aiutare i nostri imprenditori, frastornati, nella gestione del cambiamento, in un mondo economico (e non solo) dove tutto ciò che è stato vero fino a ieri non lo è già più stamattina e stentiamo a riconoscere i nuovi paradigmi.
E’ chiaro che fare gli aziendalisti per le micro e piccole imprese non sarà la panacea di tutti i mali e non risolverà il problema di una categoria che nei prossimi anni sarà sempre più ridondante e sottoccupata, ma perlomeno è un occasione, un barlume di speranza da cogliere nel quadro paludoso e plumbeo che ci circonda, nel quale anche le indispensabili riforme tributarie saranno fatte in gran parte sulla nostra pelle.
Negli studi più grandi ci sarà probabilmente un dipartimento specializzato in queste discipline, mentre in quelli di minore dimensione, dovremo integrare anche queste conoscenze. Buon lavoro.