L’esercizio provvisorio nel fallimento per valorizzare l’impresa
di Andrea RossiL’esercizio provvisorio nelle procedure fallimentari deve essere inteso come un mezzo di valorizzazione dell’impresa in stato di insolvenza, al fine di promuovere il trasferimento dell’azienda ad altro imprenditore mediante la negoziazione di un affitto ovvero la cessione; l’esercizio provvisorio può essere disposto dal giudice delegato dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, nella fase che precede il deposito del piano di liquidazione dell’attivo oppure successivamente al deposito di tale piano di liquidazione, in presenza però dell’autorizzazione del comitato dei creditori. Nella prima ipotesi, sarà pertanto il giudice delegato a surrogare il parere del comitato dei creditori (non essendosi ancora costituito tale organo fallimentare), mentre, nella seconda ipotesi, il parere del curatore dovrà essere preventivamente autorizzato dallo stesso comitato per poter essere poi deliberato dal Giudice Delegato.
Secondo dottrina prevalente, il parere del comitato dei creditori, se nominato, è vincolante nei confronti del Tribunale solamente se negativo.
Affinché il Tribunale possa essere opportunamente documentato ai fini della valutazione di convenienza, il curatore fallimentare dovrà illustrare tutti gli elementi contabili, economici e giuridici a supporto della continuità, dovrà predisporre un piano finanziario di cassa e dovrà illustrare le modalità con cui sarà gestita l’impresa al fine di motivare le prospettive di negoziabilità dell’azienda.
Il Tribunale si esprime in merito all’esercizio provvisorio con apposito decreto motivato, che potrà essere oggetto di reclamo ai sensi dell’articolo 26 L.F. da parte di coloro che siano interessati (siano essi i creditori o lo stesso fallito); il decreto dovrà illustrare le ragioni per cui è consigliabile l’adozione dell’esercizio provvisorio, specificando i compiti, i limiti e le modalità precise con cui dovrà essere svolto l’incarico da parte del curatore. In modo particolare dovranno essere fornite indicazioni circa le modalità di incasso dei crediti, di pagamento dei debiti relativi agli approvvigionamenti oltre che all’obbligo di rendicontazione della cassa. L’esercizio provvisorio deve essere oggetto di apposito monitoraggio da parte degli organi della procedura; la norma prevede infatti che durante l’esercizio provvisorio il comitato dei creditori sia convocato dal curatore almeno ogni tre mesi, al fine di essere informato sull’andamento della gestione. In modo particolare, laddove il comitato non ravvisi l’opportunità di continuare l’attività, può chiedere al giudice delegato di interrompere l’esercizio provvisorio. Inoltre al termine di ogni semestre, ed in ogni caso alla conclusione dell’esercizio provvisorio, il curatore deve presentare agli organi della procedura un rendiconto dell’attività evidenziando in modo particolare i risultati economici e finanziari conseguiti nel periodo intercorrente tra l’inizio e la fine dell’esercizio provvisorio. Secondo autorevole dottrina, nelle società più complesse sarebbe necessario predisporre per ogni semestre un bilancio di esercizio composto da conto economico, stato patrimoniale e relativa relazione esplicativa; si tratterebbe pertanto di un bilancio straordinario accompagnato da una relazione del curatore nella quale vengono illustrati i principali accadimenti intercorsi, al fine di poter fornire al comitato dei creditori tutte quelle informazioni necessarie per poter rinnovare il proprio giudizio sulla convenienza della prosecuzione dell’attività.
L’esercizio provvisorio può essere disposto dal Tribunale anche in sede di emissione della sentenza dichiarativa di fallimento, laddove la cessazione dell’attività possa comportare un grave danno e sempre che tale prosecuzione dell’attività non determini un pregiudizio per i creditori; si tratta di due requisiti che devono assolutamente coesistere e, secondo dottrina prevalente, l’esercizio provvisorio può essere concesso solo laddove l’azienda sia effettivamente funzionante nel corso dell’istruttoria da parte del Tribunale.
Secondo dottrina minoritaria il Tribunale, nella valutazione della sussistenza di tali due requisiti, non dovrà valutare il solo esclusivo interesse privatistico del ceto creditorio ma anche l’interesse generale e sociale derivante appunto dalla continuazione dell’attività d’impresa.
La concessione dell’esercizio provvisorio all’interno della sentenza dichiarativa di fallimento rappresenta un atto di per sé molto complesso, stante la scarsa conoscenza da parte del Tribunale dell’imprenditore fallendo, non essendo iniziata alcuna indagine o accertamento da parte degli organi della procedura, salvo il caso che il fallimento faccia seguito alla risoluzione di un concordato, di un accordo di ristrutturazione del debito ovvero al deposito di una relazione da parte dei commissari ai sensi dell’articolo 173 L.F..