In generale, la motivazione di tanta refrattarietà al public speaking è condensata in una semplice espressione: “io mi vergogno”.
Per superare le implicazioni emotive che l’esposizione in pubblico può generare, è utile decifrare lo stato d’imbarazzo attraverso un percorso più razionale, uno strumento “logico” a cui far ricorso al momento opportuno.
Brenè Brown, ricercatrice presso l’Università di Houston, da 15 anni studia e divulga il lato positivo della vulnerabilità e, in particolare, della vergogna.
Nei suoi articoli e nei suoi interventi pubblici, la Brown suddivise questa emozione in due categorie: la vergogna “vera” e la vergogna “falsa”.
La vergogna “vera” è quella che si prova quando si viola una norma sociale legittimata. La si impara da bambini, perché i grandi insegnano quali siano i comportamenti che si possono tenere in completa solitudine ma che sono assolutamente da evitare quando si è osservati da altre persone: qualcuno potrebbe sentirsi perfettamente a suo agio mentre si muove per casa nudo, ma se nota un vicino che lo guarda, la vergogna lo assale e si nasconde immediatamente.
La vergogna “falsa” è un’emozione sociale che rompe una norma comportamentale, cioè una regola imposta dall’ambiente in cui si vive o si lavora, nei quali è prefissato uno standard di comportamento molto vicino alla perfezione: “devi essere ineccepibile”, “non devi fare nessun errore”, “devi sempre essere all’altezza di ciò che ti viene chiesto di fare” e così via.
Le definizione “vergogna falsa” scaturisce dal dubbio che questo stato d’animo sia funzionale: non è il fatto in sé che mette a disagio, ma il significato che ne viene attribuito in quel determinato contesto.
La “falsa” vergogna è quella che si prova quando si sbaglia a capire, a parlare o anche a comportarsi: le regole sociali dettate dalla situazione specifica non ammettono che la persona commetta errori.
Quando ci si rivolge ad un pubblico, quella che emerge è la vergogna di tipo “falso”: si teme di fare brutta figura violando anche solo uno dei criteri del perfetto relatore.
Come sostiene Michael Hall, direttore della International Society di Neuro-Semantics, pretendere da se stessi di essere sempre inappuntabili è il sintomo di un irrealistico atteggiamento perfezionista.
La Brown sostiene che provare un po’ di vergogna sia comunque un bene: chi ne è esente non è nemmeno in grado di creare una connessione con gli altri o di provare empatia. Ed è improbabile che con un simile atteggiamento si riesca a conquistare la simpatia del pubblico.