Limiti applicativi dell’esenzione da IVA per i bitcoin
di Marco PeiroloLa sentenza Hedqvist, resa dalla Corte di giustizia nella causa C-264/14 del 22 ottobre 2015, superando il contenuto dell’articolo 10, comma 1, n. 3), del D.P.R. n. 633/1972, che ricollega l’esenzione da IVA delle valute estere al “corso legale”, ha affermato che le operazioni consistenti nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso. Più precisamente, secondo i giudici europei, tali transazioni rientrano nell’ambito delle operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, par. 1, lett. e), della Direttiva n. 2006/112/CE e, quindi, beneficiano dell’esenzione.
La pronuncia della Corte esclude, pertanto, che l’esenzione si applichi alle sole operazioni aventi per oggetto le valute tradizionali, ammettendo il beneficio anche per le valute virtuali alla duplice condizione che siano accettate dalle controparti di una cessione o di una prestazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella liberatoria, benché su base volontaria.
Alla luce di tale conclusione, l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione 72/2016, ha chiarito che le commissioni incassate per l’attività di compravendita di bitcoin si qualificano ai fini IVA come il corrispettivo di una prestazione di servizi esente ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 3), del D.P.R. n. 633/1972.
Nel documento di prassi, l’Agenzia ricorda che le criptovalute possiedono due caratteristiche fondamentali:
- in primo luogo, non hanno natura fisica, bensì digitale, essendo create, memorizzate e utilizzate non su supporto fisico bensì su dispositivi elettronici (es. smartphone), nei quali vengono conservate in “portafogli elettronici” (cd. digital wallet) e sono pertanto liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento, senza bisogno dell’intervento di terzi;
- in secondo luogo, i bitcoin vengono emessi e funzionano grazie a codici crittografici e a complessi calcoli algoritmici. In sostanza, essi sono generati per mezzo di algoritmi matematici, tramite un processo di “estrazione” (cd. mining) e lo scambio dei predetti codici criptati tra gli utenti (user) avviene per mezzo di un’applicazione software.
Proprio in relazione alle caratteristiche di cui sopra, si pone il problema di stabilire se determinati servizi aventi natura essenzialmente informatica, connessi all’attività di compravendita delle valute virtuali, siano esenti da IVA.
La Corte di giustizia, nelle sentenze di cui alle cause C-2/95 del 5 giugno 1997 e C-350/11 del 28 luglio 2011, ha ritenuto che le operazioni indicate nell’articolo 135, par. 1, lett. d), della Direttiva n. 2006/112/CE – riguardanti i pagamenti, i giroconti, ecc. – sono da considerare esenti a prescindere dalle modalità di svolgimento della prestazione, siano esse manuali, automatiche o elettroniche. Siccome poi l’esenzione ha carattere oggettivo e, quindi, non dipende da colui che la rende, è possibile beneficiare dell’esenzione anche nel caso di affidamento a terzi dell’esecuzione delle operazioni in esame, ma a tal fine non è sufficiente che il servizio fornito sia un elemento indispensabile alla realizzazione dell’operazione finanziaria esente, bensì è necessario che lo stesso costituisca “un insieme distinto nella sua globalità, idoneo a svolgere le funzioni specifiche ed essenziali delle operazioni per le quali è espressamente prevista l’esenzione”. A giudizio della Corte, dato che non sono esenti da IVA i servizi riguardanti la semplice fornitura di una prestazione materiale o tecnica, per individuare correttamente il regime impositivo è di fondamentale importanza l’analisi del grado di responsabilità contrattuale del prestatore che deve rispondere della corretta esecuzione del servizio reso, dovendosi esaminare se tale responsabilità sia limitata agli aspetti tecnici della prestazione fornita o si estenda agli elementi specifici ed essenziali dell’operazione finanziaria, vale a dire quelli idonei a determinare modifiche giuridiche ed economiche nella sfera dei rapporti patrimoniali del soggetto destinatario.
È proprio sulla base di tali principi – in seguito ripresi ed ampliati dall’Agenzia delle Entrate nelle risoluzioni 205/2001, 120/2003, 133/2003 e 175/2008 – che andrebbe ulteriormente chiarito se i servizi di digital wallet e di mining soddisfino le condizioni richieste dall’elaborazione della giurisprudenza della Corte UE per poter essere considerati esenti.
In proposito, ma una conferma ufficiale è indispensabile, i servizi riconducibili a questa seconda tipologia rientrano senz’altro nell’esenzione, in quanto strettamente funzionali alla creazione e allo scambio di bitcoin, mentre i servizi di wallet sembrano esclusi non essendo essenziali ai fini del trasferimento della moneta virtuale tra gli utenti se si considera che questi ultimi possono scambiarla in modo del tutto autonomo, cioè senza ricorrere a tali servizi.
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