Nella sostanza, il codice civile dalla Legge di orientamento (L. 228/2001) ha slegato la nozione di attività agricola al concetto dell’utilizzo del terreno, che dà necessario diventa potenziale, introducendo, invece, un nuovo concetto di cura del ciclo biologico (animale o vegetale) o di una fase necessaria di esso.
La normativa fiscale, invece, è rimasta agganciata alla coltivazione del terreno; condizione necessaria per poter beneficiare della tassazione sulla base del reddito agrario. Con l’attuazione della delega fiscale, di cui alla L. 111/2023, anche la normativa sulle imposte dirette ha iniziato ad allinearsi alle disposizioni civilistiche prevedendo, ad esempio, con la nuova lettera b-bis) sopra citata, che: “le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di immobili oggetto di censimento al catasto dei fabbricati, rientranti nelle categorie catastali C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10, entro il limite di superficie adibita alla produzione non eccedente il doppio della superficie agraria di riferimento definita con il decreto di cui al comma 3-bis”; questo sta a significare che, anche “senza terreno”, l’Amministrazione finanziaria considera la coltivazione all’interno dei fabbricati (quindi priva di terreno) attività agricola.
Da questo epocale passaggio scaturiscono i ragionamenti in merito al trattamento, ai fini dell’Imu, di tali fabbricati che possono non essere collocati in aree a destinazione agricola. Per i soggetti che operano nel mondo dell’agricoltura gli immobili sono suddivisi in 3 grandi categorie: fabbricati abitativi, fabbricati strumentali all’attività agricola e terreni. Gli immobili in commento non possono che ricadere, data la loro destinazione, tra quelli strumentali all’attività agricola che sono quelli necessari per lo svolgimento di attività, di cui all’articolo 2135, cod. civ..
L’articolo 9, comma 3-bis, D.L. 557/1993, stabilisce le condizioni che i fabbricati devono soddisfare per essere considerati rurali e le destinazioni che conferiscono il carattere di ruralità; queste includono, tra le altre:
- la protezione delle piante e la conservazione dei prodotti agricoli;
- la custodia di macchine agricole, attrezzi e scorte per la coltivazione e l’allevamento;
- l’allevamento e il ricovero degli animali;
- l’attività di agriturismo;
- l’abitazione dei dipendenti agricoli con almeno 101 giornate lavorative annue;
- gli uffici aziendali agricoli;
- la trasformazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, anche da parte di cooperative agricole.
Inoltre, secondo l’articolo 1, comma 3, D.M. 26 luglio 2012, per ottenere il riconoscimento della ruralità di un fabbricato, è necessario che l’immobile sia destinato esclusivamente a una delle attività indicate nell’elenco, senza distinzione tra i soggetti che svolgono l’attività agricola. In altre parole, non è richiesto che l’utilizzatore dell’immobile sia un imprenditore agricolo “qualificato” o iscritto alla gestione dei coltivatori diretti o degli IAP.
La natura dell’attività, e non quella dell’utilizzatore, è quindi il principale criterio per determinare la ruralità di questi edifici. Pertanto, se un fabbricato che ospita animali non può essere automaticamente considerato destinato all’allevamento, a meno che non venga effettivamente svolta l’attività di allevamento agricolo e curato un ciclo biologico animale, anche se l’utilizzatore non è un imprenditore agricolo “qualificato”; allo stesso tempo, un fabbricato nel quale vi sia una coltivazione vegetale in vertical farm dovrà prevedere che ivi si svolga la cura di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo biologico vegetale. A queste condizioni, la ruralità di tali fabbricati sarebbe stata già da accertarsi a prescindere dall’introduzione della lettera b-bis) al comma 2 dell’articolo 32, Tuir, in quanto l’articolo 9, D.L. 557/1993, fa riferimento ad aspetti civilistici e non fiscali. Pertanto, tali fabbricati sono da trattare, ai fini Imu, come fabbricati rurali (previa richiesta di ruralità). In ogni caso, per maggior chiarezza, sarebbe auspicabile una modifica all’articolo 9, comma 3-bis, D.L. 557/1993, indicando tra le condizioni, che conferiscono la ruralità dei fabbricati, anche la coltivazione delle piante.