I giudici veronesi, accogliendo i motivi di doglianza dei ricorrenti, hanno affermato che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’obbligazione solidale, prevista dall’articolo 57, comma 1, D.P.R. 131/1986, per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti, non grava sulla sentenza in quanto tale, ma solo ed esclusivamente sul rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva colpita dall’imposta (Corte di Cassazione, sentenza n. 21297/2020).
Secondo i giudici veronesi, infatti, il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza (Corte di Cassazione, sentenza n. 21134/2014 e sentenza n. 25970/2020), ma occorre avere riguardo esclusivamente, ai fini della verifica della debenza o meno dell’imposta, pur nascente da una sentenza, alla situazione sostanziale che ha dato causa alla sentenza registrata.
I giudici veronesi, inoltre, nella sentenza oggetto di esame, hanno ricordato che i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sono stati condivisi anche dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 82/E/2003.
In questa pronuncia di prassi, infatti, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il rapporto di solidarietà passiva deve trovare applicazione solo con riferimento alle parti del processo coinvolte nel rapporto sostanziale considerato nella sentenza, con esclusione, pertanto, dei soggetti che a detto rapporto sono risultati estranei.
Nello stesso senso, si è espressa l’Amministrazione finanziaria con la risoluzione 95/E/2015, dove è stato chiarito che, nel caso di litisconsorzio facoltativo, ove ciascun soggetto agisca per la tutela di un autonomo diritto e le statuizioni della sentenza sono riferite a ciascun rapporto giuridico, ogni attore privato, parte del processo, risulta essere responsabile del pagamento dell’imposta di registro relativa esclusivamente alla propria posizione giuridica.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, pertanto, l’imposta di registro deve essere liquidata pro-quota dall’Ufficio nei confronti di ciascun attore, in ragione del rapporto giuridico oggetto della statuizione della sentenza allo stesso riferibile.
A parere di chi scrive, la pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Verona deve essere accolta con favore dal momento che tutela l’esigenza di tenere distinte, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, le varie statuizioni contenute in una medesima sentenza nel caso in cui le stesse siano riferibili a distinti rapporti giuridici.
I giudici veronesi, infatti, hanno correttamente accolto il principio secondo il quale il presupposto impositivo dell’imposta di registro deve essere individuato, non nell’atto considerato in sé quale mero documento, ma nell’atto giuridico avente contenuto economico, ossia idoneo a produrre ricchezza e, dunque, sintomo di capacità contributiva.