L’incasso col POS senza scontrino o ricevuta
di Giovanni ValcarenghiPaolo NoventaLa Cassazione, con sentenza 13494 del 1° luglio 2015, ha confermato il proprio orientamento (ormai consolidato) in merito al soggetto sul quale grava l’onere della prova in caso di sussistenza di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
La fattispecie analizzata riguarda un esercizio alberghiero della Toscana, al quale erano state mosse, con apposito PVC, alcune censure in merito a ricavi non dichiarati e indebita deduzione di costi.
Sul versante dei ricavi, durante la verifica era stata riscontrata la discordanza tra incassi tracciati tramite POS o carte di credito e corrispettivi dichiarati.
Forse non vi era bisogno di giungere sino alla Cassazione, se non fosse che la CTR di Firenze aveva accolto le ragioni del contribuente affermando che “l’Ufficio non aveva assolto all’onere di provare i (presunti) maggiori ricavi fondati sulla discordanza tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dalle operazioni attive derivanti dall’utilizzo di carte di credito, o bancomat, e documentate dagli scontrini emessi dall’apposito apparecchio”.
Affermazioni come quelle riportate “gonfiano” (ingiustamente) l’orgoglio del contribuente che ritiene, così, di poter operare nella più completa libertà. Non siamo certo noi a voler sostenere i ragionamenti, spesso contorti, dell’Agenzia delle Entrate, ma ci pare che in situazioni come queste ci sia poco da argomentare: o il contribuente riesce a giustificare con prove inconfutabili la discordanza, oppure sembra da preferire una onorevole resa.
Tanto è vero che la sentenza afferma in modo lapidario: “Premesso che, ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) DPR 600/733 l’esistenza di attività non dichiarate può desumersi anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti (Cass.20060/2014) e che l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione può, in particolare, derivare dalla incompletezza, inesattezza e non veridicità delle registrazioni contabili, desumibile anche da altri documenti relativi all’impresa, nel caso di specie la discordanza, non specificamente contestata, tra le somme riscosse dalla contribuente tramite carta di credito e p.o.s. ed i ricavi risultanti dalle scritture contabili dichiarati dalla società, integra senz’altro una presunzione legale di maggiori ricavi, corrispondenti alle rimesse attive della carta di credito e del bancomat, conformemente a quanto già affermato in materia di accrediti su conto correnti bancari (Cass. n. 17953/2013,), salvo l’onere, a carico del contribuente, di provare specificamente una diversa destinazione di detti accrediti (Cass. 14045/2014, in tema di conto correnti bancari). Tale onere nel caso di specie non risulta assolto”.
Quindi, possiamo archiviare un principio basilare secondo il quale lo scontrino o la ricevuta devono essere coerenti con gli incassi del POS.
L’analisi, tuttavia, non si limita alla ricostruzione dei ricavi, ma si espande anche ad un’altra questione che appare di maggiore complessità concettuale, vale a dire quella della deducibilità delle spese di manutenzione su beni di terzi.
Come noto, tali spese possono essere dedotte senza il limite quantitativo del plafond del 5%; pur tuttavia, ci ricorda la sentenza in esame, debbono pur sempre essere inerenti.
Nel caso di specie si discuteva della inerenza di spese di manutenzione straordinaria effettuata su immobili presumibilmente adibiti all’attività alberghiera; tale circostanza non appare infrequente nel settore, specialmente per il disallineamento di interesse che può sussistere tra il proprietario del fabbricato ed il conduttore.
Ci si dimentica spesso, infatti, che secondo il codice civile le spese straordinarie sono a carico del proprietario, mentre quelle di manutenzione ordinaria gravano sul conduttore.
Il parere dei Giudici è chiaro e netto: “avuto riguardo, in particolare, ai beni immobili di proprietà di terzi, cui sì riferiscono buona parte delle spese contestate, … , questa Corte ha già affermato che i relativi costi di manutenzione straordinaria non sono deducibili, in quanto privi del requisito dell’inerenza all’attività d’impresa … se effettuati su beni detenuti in locazione, non essendo ravvisabile la correlazione tra la spesa od il costo sostenuti e l’esercizio effettivo dell’attività economica dell’imprenditore, richiesta dalla norma, in quanto il beneficiario ultimo dei miglioramenti apportati all’immobile condotto in locazione … rimane esclusivamente il locatore (Cass. 6936/2011 ed, in materia di Iva, Cass. 2939/2006)”.
Non ci si spinge a valutare il contenuto del contratto di locazione in essere, al fine di verificare, ad esempio, se il medesimo contenesse delle pattuizioni in deroga rispetto alla regola codicistica.
Anche se così fosse, tuttavia, la vicenda non sarebbe comunque limpida e semplice, in quanto l’accrescimento di valore si potrebbe comunque riscontrare in capo al proprietario e, probabilmente, i guai fiscali potrebbero riversarsi su quest’ultimo soggetto.
Infatti, l’Amministrazione potrebbe ritenere che il proprietario di fatto incassi un canone di locazione maggiore di quello esplicitato nel contratto; la maggiore misura potrebbe essere proprio fatta coincidere con il maggior valore acquisito dall’immobile.
In conclusione, dunque, potremmo dire che la pronuncia in analisi rappresenta un ottimo esercizio per rinfrescare alla nostra memoria alcune fattispecie che dobbiamo trasferire con forza alla nostra clientela: se si sa che possono insorgere delle difficoltà, si può magari pensare di agire in modo differente.