L’incipit del divieto del bis in idem fa salve le specifiche disposizioni che prevedano diversamente
di Gianfranco AnticoIl D.Lgs. 219/2023, di riforma dello Statuto del contribuente, introduce l’articolo 9-bis, L. 212/2000, normando così il cd. divieto di bis in idem nel procedimento tributario: “Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”.Si legge nella relazione illustrativa che l’introduzione di tale norma recepisce le esigenze di bilanciamento tra tutela dell’interesse erariale e dei diritti fondamentali del contribuente, nel rispetto del principio di proporzionalità, rafforzando la protezione di tali diritti e, nel contempo, la certezza del diritto. E “l’essenza del cd. ne bis vexari afferma che, per ogni possibile violazione, la persona ha diritto a essere gravata da una sola procedura e quindi a doversi difendere una sola volta”.
La triplice condizione introdotta – che l’azione sia svolta 1) una sola volta, 2) per ogni tributo, 3) per ogni periodo d’imposta – trova comunque un limite nell’incipit della norma: “salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente”.
Questo a significare che per il Fisco sono sicuramente salvi, per esempio, gli accertamenti parziali, previsti dall’articolo 41-bis, D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 54, comma 5, D.P.R. 633/1972, emessi dagli Uffici senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice, in quanto privi di una valutazione complessiva della posizione del contribuente e basati su “elementi” raccolti presso soggetti terzi; e gli accertamenti integrativi, disposti dall’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 57, comma 5, D.P.R. 633/1972.
In ordine ai cd. 41-bis, la norma richiama gli elementi in genere che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, così che l’Ufficio può limitarsi ad accertare i predetti elementi. La peculiarità del parziale consiste proprio nel procedere all’accertamento, con immediatezza, quando siano pervenuti elementi che consentano di determinare autonome irregolarità tributarie, con la possibilità di notificare più accertamenti parziali per la stessa annualità.
Il principio per cui il contribuente ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta verrà meno, quindi, ogni qual volta l’Ufficio utilizzi legittimamente i parziali.
Relativamente agli accertamenti integrativi, entro gli stessi termini previsti per l’esercizio ordinario dell’attività di controllo, l’Ufficio può notificare ulteriori avvisi, integrativi o modificativi dei precedenti, ove sussistano i presupposti fissati dalla legge.
Il presupposto per l’esercizio del potere di integrazione e modificazione è dato dalla ” sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi“.
La norma, in forza di quanto prescritto dall’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 57, comma 4, D.P.R. 633/1972, ammette la ri-emissione di un nuovo avviso di accertamento, subordinandolo ad un ampliamento della conoscenza sulla situazione di fatto, attraverso elementi – nuovi e sopravvenuti – che, se conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa valutazione reddituale.
Le stesse indicazioni fornite con la circolare n. 7/1496/1977 affermano che, in questi casi, “l’Ufficio deve notificare un altro avviso nel quale deve specificare, a pena di nullità, i fatti in questione ed il modo in cui ne è venuto a conoscenza, curando in modo particolare di porre in rilievo che trattasi di fatti che erano sconosciuti all’Ufficio (e tali debbono effettivamente essere) alla data del primo accertamento o dei precedenti accertamenti integrativi. Gli elementi nuovi debbono pur sempre riguardare fatti rientranti nel periodo d’imposta in considerazione e perciò necessariamente anteriori al primo avviso di accertamento, di modo che, nella realtà, novità e sopravvenienza sono tutt’uno e concernenti la conoscenza, da parte dell’Ufficio, di fatti storicamente vecchi”.
Le istruzioni allora diramate – che pur se datate sono da ritenere tuttora valide – proseguono affermando che i fatti sono nuovi “perché venuti a conoscenza dell’Ufficio – e, quindi, non direttamente rilevabili dagli elementi contenuti nella dichiarazione o negli atti o fatti che hanno dato luogo all’accertamento d’ufficio – solo successivamente alla data dell’accertamento di cui sono integrativi, pur riguardando epoca anteriore e, precisamente, circostanze e accadimenti verificatasi nel periodo di imposta cui l’accertamento si riferisce”.
Dal punto di vista formale, l’accertamento integrativo, deve avere un contenuto completo e, quindi, deve sottostare anche alle prescrizioni dell’articolo 42, D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 56, D.P.R. 633/1972 (indicazione degli elementi o dei cespiti che sono alla base del nuovo accertamento, del nuovo imponibile, dell’aliquota applicata e dell’imposta derivata).
Le indicazioni specificatamente previste per gli accertamenti integrativi debbono risultare dalla motivazione dell’atto, che è lo strumento attraverso il quale si descrive l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’Ufficio, al fine di rendere edotto il contribuente delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando il destinatario dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario.
Inoltre, evidenziamo che l’articolo 9-bis, L. 212/2000, cristallizza legislativamente come emendabili i vizi formali e procedurali, così che in queste ipotesi è da ritenere la prerogativa della ri-emissione dell’atto pienamente legittima e conforme all’attuale ordinamento. Pertanto, sulla scorta del c.d. principio di perennità della potestà amministrativa, l’Amministrazione finanziaria, una volta rimosso con effetto “ex tunc” l’atto viziato, conserva ed anzi è tenuta ad esercitare – nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto – la potestà impositiva.