L’inerenza ai fini della deducibilità dei costi nel reddito d’impresa
di Luigi FerrajoliAi fini della determinazione del reddito di impresa l’ordinamento tributario non prevede per le componenti negative di reddito un criterio di ordine casistico per l’individuazione delle fattispecie ammissibili (come invece avviene per i componenti positivi di reddito), preferendo piuttosto fare riferimento ad un principio di ordine generale quale criterio utile per determinare la deducibilità fiscale dei costi sostenuti nell’attività di impresa.
Infatti, sono considerati deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa tutti i costi maturati nell’esercizio che siano “inerenti” all’attività commerciale svolta dal contribuente.
Il principio di inerenza si caratterizza, dunque, come regola generale dell’ordinamento tributario che, anche se non disciplinata specificatamente da alcuna norma di diritto positivo, è direttamente ricavabile dalla lettura delle norme che regolano la materia del reddito d’impresa, ed in particolare dall’articolo 109, comma 5, Tuir, secondo cui “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
La fonte del principio di inerenza non deve quindi essere ricercata in una norma specifica, ma nella stessa struttura giuridica dell’imposizione sul reddito d’impresa.
L’inerenza, rappresenta, infatti, quella regola generale che identifica il necessario collegamento che vi deve essere fra un componente economico e l’attività esercitata da parte dell’imprenditore.
E tale regola è individuabile in una relazione causa-effetto tra i singoli componenti economici e l’attività che costituisce la fonte del reddito, tale da consentire di ritenere i componenti di reddito teleologicamente legati all’esercizio dell’attività stessa.
Da tale principio deriva che l’esigenza di affermare la possibilità di dedurre i componenti negativi di reddito non rappresenta una norma di favore, ma è legata all’esigenza stessa di misurare la capacità economica del presupposto dell’imposizione, cioè il reddito d’impresa.
L’inerenza va, quindi intesa come correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito imponibile, e dunque, come da interpretazione storicamente espressa dalla stessa Amministrazione finanziaria (si veda, ex multis, la risoluzione 158/E/1998), il concetto di inerenza non è più legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa; pertanto, si rendono deducibili tutti i costi relativi all’attività dell’impresa e che si riferiscono ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito d’impresa.
Dunque, per accertare la sussistenza o meno dell’inerenza occorre valutare se tra spesa ed attività o beni da cui derivano ricavi sussista una relazione immediata e diretta: in caso affermativo, l’onere risulta interamente deducibile.
In questo senso anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che “quella di inerenza è una nozione pre-giuridica, di origine economica, legata all’idea del reddito come entità necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione. Sotto tale profilo, pertanto, inerente è tutto ciò che – sul piano dei costi e delle spese – appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo” (cfr. Cassazione, n. 6548/2012).
Peraltro, è necessario osservare che nel diritto sostanziale, ai fini dell’accertamento dell’inerenza di un costo, deve farsi esclusivo riferimento all’aspetto “qualitativo” dello stesso e non al suo aspetto “quantitativo”.
Infatti, i componenti negativi, per i quali non è fissato nessun limite dalla legge, sono deducibili, se inerenti, nella misura determinata dalle esigenze gestionali, in riferimento agli obiettivi perseguiti dall’imprenditore nell’esercizio insindacabile della sua attività d’impresa.
Sul punto la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10319/2015, ha ribadito che “in tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili” e che “il concetto di inerenza è, invero, nozione di origine economica, legata all’idea del reddito come entità calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione, che, nel campo fiscale, si traduce in un risparmio di imposta e in relazione alla cui sussistenza, ove si abbia riguardo a spese intrinsecamente necessarie alla produzione del reddito di impresa, non incombe alcun onere della prova in capo al contribuente”.