L’inerenza delle operazioni propedeutiche all’attività d’impresa
di Gianfranco AnticoCome è ormai noto, in ordine agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, non essendo richiesto, tuttavia, il concreto esercizio dell’impresa.
La detrazione dell’imposta, quindi, spetta anche nel caso di assenza di operazioni attive, poiché è inerente anche l’acquisto di beni e servizi destinati all’avvio dell’attività, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie.
È questo il principio che sostanzialmente si fa largo davanti ai giudici di legittimità e confermato di recente dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.11213 del 28.04.2023, che ha aggiunto all’annosa questione un ulteriore tassello: non rilevano le ragioni per cui l’attività non è stata concretamente iniziata, salva, naturalmente, non si ravvisino dei casi di abuso del diritto alla detrazione o al rimborso.
La giurisprudenza sembra oramai chiara: i cd. “atti preparatori” rientrano nell’esercizio dell’attività economica ex articolo 4 D.P.R. 633/1972, indipendentemente dall’effettiva realizzazione di operazioni attive soggette a Iva non essendo richiesto il collegamento tra il diritto di detrazione, da un lato, e il fatto che le spese si traducano concretamente in operazioni imponibili.
Tant’è che in sede di prassi, la circolare 33/E/2016 – nel confermare che anche il (solo) sostenimento delle spese di investimento iniziali è prova dell’esercizio di un’attività imprenditoriale e che tale circostanza non può compromettere il diritto alla detrazione dell’Iva (e l’eventuale, conseguente, diritto al rimborso), al fine di meglio precisare cosa si intenda per “prima operazione effettuata” – richiama la risoluzione 147/E/2009, con cui è stato chiarito che “la spettanza del diritto alla detrazione non è, comunque, necessariamente esclusa dalla iniziale esiguità delle operazioni imponibili attive, in quanto in virtù del principio della neutralità dell’Iva anche le spese di investimento, effettuate ai fini dell’esercizio di un’impresa, devono essere ricondotte all’attività economica esercitata. La mancanza di ricavi nei primi anni di attività non può essere configurata, di per sé, come un impedimento alla detrazione dell’Iva quando gli acquisti sono relativi a beni e servizi impiegati nell’attività di impresa e in funzione di operazioni imponibili. Sarebbe, infatti, in contrasto con il richiamato principio ritenere che l’attività imprenditoriale propriamente detta abbia inizio soltanto in corrispondenza di operazioni attive, e in presenza di un reddito imponibile (cfr. sentenze Corte di Cassazione n. 1863 del 02.02.2004; n. 5739 del 16.03.2005)“.
Pertanto, prosegue la circolare 33/E/2016, occorre verificare l’effettiva esistenza dell’organizzazione aziendale e l’effettivo esercizio d’impresa che, in taluni casi, può essere desunto anche dagli investimenti realizzati, dai lavori eseguiti, dai contratti stipulati, aventi data certa, o dalle operazioni passive effettuate in funzione di future operazioni attive.
Principi chiariti ancora con la risposta ad interpello n. 584 del 14.09.2021, dove è stato affermato che “il contribuente non deve attendere l’effettiva utilizzazione dei beni e dei servizi nella propria attività per stabilire se gli spetta e in quali termini il diritto alla detrazione, essendo a tal fine sufficiente che i beni ed i servizi siano destinati a essere utilizzati in operazioni che danno diritto alla detrazione. Naturalmente, deve trattarsi di una destinazione avvalorata oggettivamente dalla natura dei beni e dei servizi acquisiti rispetto all’attività concretamente esercitata dal contribuente. (Cfr. circolare n. 328 del 1997)”.
Resta fermo – ordinanza della Corte di Cassazione n. 7488/2020 – che il principio di neutralità fiscale non può essere invocato da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale, mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’Iva.
La Corte, innanzitutto, rileva che nel caso in questione – detraibilità dell’Iva sui costi da parte di società che non aveva realizzato alcuna operazione attiva e poi cessata – “non può revocarsi in dubbio che la CTR ha, per l’un verso, dato atto della strumentalità dei costi sostenuti dalla società rispetto all’attività economica programmata (realizzazione di un cementificio) rilevando sulla base della documentazione prodotta che detti oneri avevano riguardato attività propedeutiche all’attività imprenditoriale già costituenti esercizio di attività d’impresa. Così facendo il giudice di merito si è pienamente uniformato alla giurisprudenza di questa Corte-cfr. Cass. n. 25777/2014“.
Per gli Ermellini, tuttavia, il giudice di appello non ha esaminato le ragioni “che hanno determinato la mancata realizzazione del cementificio, al fine di escludere che l’attività complessivamente realizzata dalla società fosse da considerarsi come abusivamente rivolta ad ottenere indebiti vantaggi fiscali attraverso operazioni elusive o abusive”.
Così che permane l’obbligo – per riconoscere il diritto del contribuente a detrarre l’Iva assolta sulle operazioni passive relative agli “atti preparatori” – di verificare che le predette operazioni siano state effettivamente compiute nell’esercizio di impresa, riscontrando la presenza di un nesso tra gli acquisti di beni e servizi, e che il tutto non si inserisca in una frode fiscale.