L’inserimento di passività in un ramo di azienda ceduto: esiste un principio di inerenza ai fini dell’imposta di registro?
di Fabio Landuzzi
L’articolo 51, comma 4, D.P.R. 131/1986 (“Tur”), ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta di registro in caso di cessione di azienda o di ramo di azienda, prevede che il valore complessivo del compendio ceduto vada assunto “al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie”. Di conseguenza, l’imposta di registro dovuta è una funzione diretta del valore aziendale il quale è a sua volta influenzato in modo decisivo dalle scelte negoziali dei contraenti: maggiori passività vengono incluse nel perimetro del ramo di azienda ceduto, a parità di elementi attivi, e minore sarà la base imponibile dell’imposta di registro.
Se, quindi, a rigor di legge sembrerebbe sufficiente che le passività incluse nel ramo di azienda ceduto siano presenti nelle scritture contabili del cedente, affinché le stesse possano concorrere a ridurre l’imponibile dell’imposta di registro, si è tuttavia fatta strada una chiave interpretativa diversa volta a perseguire situazioni patologiche; in questo senso si è indirizzata la Corte di Cassazione con sentenza n. 12042 del 25 maggio 2009 la quale potrebbe indurre a presupporre l’esistenza di una sorta di principio di inerenza per le passività incluse nella cessione di un ramo di azienda, facendo leva sull’applicazione allargata del principio dell’abuso del diritto. La situazione che si intende perseguire, in altri termini, è quella in cui nella prossimità dell’operazione di cessione, il cedente aumenta artificiosamente l’indebitamento dell’azienda – ad esempio, accendendo nuove linee di finanziamento -, trasferisce la passività (ma non il corrispondente attivo) al cessionario quale parte integrante del compendio aziendale ceduto, ed infine, a poca distanza dall’acquisto, il cessionario estingue questa passività così da far ritornare il livello di indebitamento dell’azienda acquistata ai valori “normali”.
In primo luogo, si può affermare che nel contesto dell’imposta di registro, quando si approcci la cessione d’azienda, manca qualsivoglia elemento normativo per poter parlare di un presunto “principio di inerenza” delle passività. E’ tuttavia vero che acquistare un ramo di azienda carico di maggiori passività significa, di fatto, pagare una parte del prezzo mediante l’accollo di debiti con il vantaggio, però, di vedere diminuire il carico di imposta di registro. Quindi, seppure si possa negare l’affermazione di un principio di inerenza delle passività rispetto alla cessione di un ramo di azienda, in ambito di imposta di registro, può pur tuttavia riconoscersi che la situazione possa essere aggredita dal Fisco qualora essa presenti patologie evidenti nell’assunto che si configuri un abuso del diritto. Poiché, come riconosciuto dalla dottrina ragionieristica, non è possibile creare una relazione diretta fra la passività ed una singola attività, l’elemento patologico che può consentire la contestazione dell’Amministrazione Finanziaria risiede nel concetto di “eccessivo indebitamento”.
Un elemento indicativo assai importante per basare un giudizio equilibrato del singolo caso è possibile evincerlo dai documenti storici del cedente; ad esempio, si potrebbe verificare, avuto riguardo all’ultimo triennio anteriore alla cessione, quale è stato il livello di indebitamento medio utilizzato per la conduzione dell’attività. Ciò, sia riguardo a linee di credito che a finanziamenti a m/l termine, tenuto conto anche del livello di utilizzo in presenza di attività magari caratterizzate da spiccata stagionalità nel sostenimento dei costi o nell’andamento degli incassi. L’analisi di questo trend può quindi costituire, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, un ammontare di passività finanziaria “fisiologica” rispetto all’attività dell’azienda ceduta. Inoltre, potrebbe avere rilevanza anche l’avvenuto aumento della leva finanziaria dell’azienda legato a prospettive di rifinanziamento dell’attività, ad investimenti in atto, o comunque ad operazioni che non appaiano estemporanee e quindi destinate a rientrare poco dopo la cessione, bensì strutturali e quindi connaturate ad una fisiologica gestione dell’impresa. La fattispecie perseguita dalla Cassazione era infatti aggravata da una asserita mancanza di valide ragioni economiche per l’inserimento in contabilità e la successiva cessione delle passività finanziarie.