25 Febbraio 2022

L’irrevocabilità dei pagamenti effettuati “nei termini d’uso”

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Argomento di peculiare interesse riguarda, in materia fallimentare, l’esenzione dall’azione revocatoria, fattispecie disciplinata dall’articolo 67, comma 3, L.F..

Preliminarmente, si osserva che la ratio dell’azione revocatoria, come regola, è quella di preservare la par condicio creditorum, onde le operazioni poste in essere nel cd. “periodo sospetto” dalla società sottoposta a procedura concorsuale debbano incorrere nella sanzione dell’inefficacia.

Sul punto, merita un dettagliato approfondimento la fattispecie, disciplinata dall’articolo 67, comma 3, lett. a), L.F., la quale prevede che: “non sono soggetti all’azione revocatoria: (…) a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”.

La questione è stata molto discussa e la giurisprudenza, nel corso del tempo, ha cercato di fare chiarezza in proposito.

In primo luogo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25162/2016, nell’interpretare tale disposizione, ha ritenuto che occorresse aver riguardo al “rapporto diretto tra le parti, dando rilievo al mutamento dei termini, da intendersi non solo come tempi, ma anche come le complessive modalità di pagamento e non già alla prassi del settore economico di riferimento”.

Tale principio è stato nel tempo confermato da successive sentenze della stessa Corte di Cassazione, che hanno avuto modo di precisare quanto segue:

a) occorre individuare fra le parti la “consuetudine di estinguere i debiti attraverso” date modalità (Cassazione, n. 5587/2018);

b) “se il ritardo rispetto alla scadenza pattiziamente convenuta sia divenuto una consuetudine, senza determinare una specifica reazione della controparte, a parte l’intimazione di solleciti, tale prassi deve ritenersi prevalentemente rispetto al regolamento negoziale” (Cassazione, n. 7580/2019);

c) la norma richiede “la dimostrazione non tanto dell’assenza di precedenti inadempimenti, ma della consistenza della quotidianità sotto il profilo delle modalità di adempimento invalse fra le parti, al fine di consentire al giudice di apprezzare se le parti, nel caso di specie, si fossero scostate dai termini consueti fino ad allora seguiti” (Cassazione, n. 9851/2019).

Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27939/2020, ha ritenuto di confermare tale orientamento e di puntualizzare ulteriori aspetti della fattispecie de qua.

Innanzitutto, è bene premettere che le modalità di deroga alle pattuizioni convenute tra le parti possono articolarsi in vari modi.

Per tale ragione, la sentenza citata ha statuito che “l’interpretazione della L. F., articolo 67, comma 3, lett. a), deve muovere dalla considerazione secondo cui la fattispecie ha riguardo ad una modalità di esecuzione del rapporto tra le parti, che – pur divergendo dalle clausole negoziali – sia ricompresa “nei termini d’uso”. (…). In particolare, la previsione della lettera a) del comma 3 si pone in diretta correlazione con quella del numero 2 del comma 1 dell’articolo 67 l. fall.”, che prevede la revocabilità degli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Ne consegue, pertanto, che il pagamento resta fermo ed efficace tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore – adeguatamente consolidata e stabile – volta a derogare a quella clausola contrattuale e ad introdurre così le modalità di adempimento con termini diversi e più lunghi, come nuova regola inter partes.

Il Giudice di legittimità, con la sentenza n. 608 dell’11.01.2022, si è conformato all’orientamento sopra esposto, affermando il seguente principio di diritto: “l’interpretazione della L. Fall., articolo 67, comma 3, lett. a), è nel senso che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente previsti, siano stati, anche per comportamenti di fatto, eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli in discorso, i quali, pertanto, non possono più ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma divengono esatti adempimenti; l’onere della prova di tale situazione è, ai sensi dell’articolo 2697 cod. civ., in capo all’accipiens”.

Ne consegue, pertanto, l’irrevocabilità di tali pagamenti.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha ulteriormente sottolineato come, sulla base del principio precedentemente esposto, non è sufficiente fare riferimento alla disciplina negoziale originaria, nella valutazione di un rapporto, ma occorre accertare, concretamente, se tra il soggetto pagante e il destinatario del versamento si sia instaurata una prassi in via di fatto, modificativa degli accordi a suo tempo conclusi.