L’iscrizione al registro imprese del fornitore esclude l’obbligo di ritenuta
di Fabio GarriniSe il fornitore è imprenditore iscritto al registro delle imprese il corrispettivo non deve essere assoggettato a ritenuta del 20%, neppure se la prestazione resa ha contorni di “natura professionale”; questo è il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate tramite la risposta ad interpello n. 312 del 30.04.2021, nella quale, quantomeno sotto il profilo dell’adempimento del sostituto d’imposta, viene data rilevanza al dato formale.
Il caso
Il caso esaminato nella risposta ad interpello in commento è tutto sommato piuttosto semplice: la società istante ha conferito ad un consulente aziendale un incarico di consulenza (per la verità dai contorni molto generici), riguardante “le strategie commerciali e di sviluppo mediante la valutazione dei mercati ed il posizionamento nelle aree di interesse della stessa”. Per tale prestazione, della durata di 12 mesi, è previsto un compenso mensile di euro 10.000.
La richiesta dell’istante però non riguarda il merito della prestazione, ma i suoi obblighi in qualità di possibile sostituto d’imposta: si chiede, infatti, se tali corrispettivi, al momento dell’erogazione, debbano o meno essere interessati dalla ritenuta del 20% che normalmente viene applicata ai compensi di lavoro autonomo, prevista dall’articolo 25 D.P.R. 600/1973.
Tema centrale, come tra un attimo si dirà, è costituito dal fatto che il consulente aziendale, munito di partita Iva, è titolare di una ditta individuale iscritta al registro delle imprese.
L’obbligo di ritenuta e la qualifica di professionista
La questione che si pone è quale sia l’innesco che dovrebbe portare ad operare la ritenuta sul compenso erogato.
L’istante chiede infatti chiarimenti circa le modalità di tassazione dei compensi mensili che dovrà corrispondere al consulente, previa emissione di fattura con Iva e, in particolare, se sia corretta l’applicazione al momento del pagamento della ritenuta d’acconto nella misura del 20%.
Nella risposta ad interpello in commento l’Agenzia si sofferma sulla qualifica di professionista, richiamando la L. 4/2013 che regola le professioni non ordinistiche, nel cui comma 5 dell’articolo 1 si afferma che “La professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente”.
A parere di chi scrive, nella definizione di impresa e di professionista, occorre indagare la qualificazione “fiscale” del soggetto, secondo le definizioni contenute nel Tuir (peraltro non dissimili a quelle contenute negli articoli 4 e 5 del D.P.R. 633/1972 nel comparto Iva):
- l’articolo 55 Tuir stabilisce che sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’articolo 2195 cod. civ. anche se non organizzate in forma d’impresa. Il successivo comma 2, in particolare alla lett. a), ricomprende nei redditi d’impresa quelli derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 cod. civ.;
- il precedente articolo 53 stabilisce invece che sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI (ossia quelle svolte nell’ambito dell’impresa).
In estrema sintesi, le prestazioni di servizi diverse da quelle previste all’articolo 2195 cod. civ., se organizzate, sono attività d’impresa; in difetto dell’organizzazione, se nell’ambito del lavoro autonomo, i proventi conseguiti sono qualificabili come redditi professionali.
Nell’articolo 25 D.P.R. 600/1973 è previsto che, in relazione ai compensi corrisposti a soggetti residenti nel territorio dello Stato, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente, occorre operare, all’atto del pagamento, una ritenuta del 20% a titolo di acconto dell’Irpef dovuta dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa.
L’istante, in uno slancio di incontrollato rigore, ipotizza di dover verificare le modalità attraverso le quali la consulenza sia materialmente resa; avendo riscontrato che l’attività viene svolta in qualità di libero professionista con la prevalenza del lavoro sul capitale investito, ancorché tale attività non preveda l’iscrizione ad uno specifico ordine professionale, si troverebbe obbligata ad effettuare la ritenuta del citato articolo 25 D.P.R. 600/1973.
Evidentemente imporre al committente del servizio l’onere di indagare le modalità di gestione dell’attività da parte del prestatore, per valutare se assumere la qualifica di sostituto d’imposta ed effettuare la ritenuta, sarebbe un onere eccessivo, oltre che impossibile da condurre in maniera puntuale (può infatti non essere pienamente evidente come il prestatore renda la propria attività).
Fortunatamente, l’Agenzia preferisce una impostazione formalistica della tipologia di reddito in prospettiva degli adempimenti del sostituto d’imposta: “Nel caso di specie, tenuto conto che, secondo quanto affermato nell’istanza trattasi di «prestazioni di consulenza aziendale eseguite da un consulente titolare di una ditta individuale iscritta al registro delle imprese con regolare partita iva», il corrispettivo dovuto non è soggetto a ritenuta.”
Altro conto è la corretta qualificazione del reddito prodotto dal consulente che potrebbe essere oggetto (si tratta invero di una ipotesi piuttosto remota) di una possibile contestazione, qualora abbia prescelto un inquadramento errato della propria attività; questo, però, senza che possano esservi effetti sugli adempimenti del sostituto d’imposta. La confortante risposta ad interpello in commento depone in tale senso.