L’istanza di autotutela non sospende i termini per ricorrere
di Gianfranco AnticoLe modifiche recate dal D.Lgs. 219/2023 all’istituto dell’autotutela ne hanno cambiato radicalmente il volto. In pratica, il legislatore delegato ha previsto un doppio binario: da una parte l’autotutela obbligatoria disciplinata dall’articolo 10-quater, comma 1, L. 212/2000, esercitabile nei casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione espressamente previsti (errore di persona, errore di calcolo, errore sull’individuazione del tributo, errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria, errore sul presupposto d’imposta, mancata considerazione di pagamenti d’imposta regolarmente eseguiti, mancanza di documentazione successivamente sanata non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza); e dall’altra parte, l’autotutela facoltativa, normata dall’articolo 10-quinquies, L. 212/2000 (casi aperti, in presenza di una generale illegittimità o infondatezza dell’atto o dell’imposizione).
Nel ricordare che il comma 2, dell’articolo 10-quater, L. 212/2000, prevede che l’Amministrazione finanziaria non procede all’autotutela, nel caso sia intervenuta sentenza passata in giudicato ad essa favorevole, ovvero in caso di atti definitivi, decorso un anno dalla mancata impugnazione, e che l’articolo 10-quinquies, L. 212/2000, riconosce all’Amministrazione finanziaria il potere di procedere in autotutela anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione, va rimarcato che rimane fermo che l’istanza di autotutela presentata – sia obbligatoria o facoltativa – non sospende i termini di impugnazione.
Pertanto, il ricorso proposto oltre il termine di 60 giorni – indipendentemente dal silenzio serbato sull’istanza di autotutela – va dichiarato tardivo e inammissibile (Cassazione n. 13367/2019), atteso che non è prevista – né prima né post riforma – alcuna ipotesi di interruzione e/o sospensione del termine processuale per impugnare l’atto.
Così, se il contribuente lascia decorrere il termine perentorio (60 giorni, eventualmente allungato in presenza di sospensioni ex lege) senza proporre ricorso, l’atto si rende definitivo e potrà solo confidare nel positivo esito del procedimento di autotutela.
Infatti, l’articolo 21, D.Lgs. 546/1996, prevede che il ricorso debba “essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato”. Termine che soggiace alla disciplina di carattere generale di cui all’articolo 155 c.p.c., per effetto della quale nel computo dei termini si esclude il giorno inziale, computandosi pure i giorni festivi, salvo che, se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza “è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
In forza del primo periodo, dell’articolo 1, comma 1, L. 742/1969, (sospensione dei termini processuali nel periodo feriale), il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative è comunque “sospeso di diritto dal 1º al 31 agosto (fino all’anno 2014, dal 1° agosto al 15 settembre) di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione…”.
Inoltre, ai fini del computo dei termini per la proposizione del ricorso, occorre tener conto dell’eventuale sospensione dei termini in caso di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione, di cui agli articoli 6 e 12, D.Lgs. 218/1997.
La stessa Corte di cassazione, pur se in ordine al riesame del cd. avviso bonario, ha affermato che ove il contribuente presenti istanza di riesame/autotutela di una comunicazione di irregolarità “non si realizza alcuna sospensione del termine di trenta giorni, decorrente dal ricevimento della comunicazione d’irregolarità, concesso al contribuente per effettuare il pagamento evitando l’iscrizione a ruolo ed usufruendo della riduzione ad un terzo dell’ammontare delle sanzioni. Solo nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente, ridetermini in sede di autotutela l’importo delle somme dovute, decorrerà un nuovo termine dalla relativa comunicazione. Dunque, la mera presentazione di una istanza in autotutela da parte del contribuente, ove non seguita da una comunicazione di rideterminazione delle somme dovute, non esime quest’ultimo dall’onere di pagare entro il termine di legge, decorrente dalla comunicazione d’irregolarità, al fine di usufruire della riduzione della sanzione, attesa l’autonomia del procedimento di riscossione coattiva da quello introdotto dalla richiesta di provvedere in autotutela. La mancata risposta dell’Amministrazione all’istanza presentata in autotutela, conseguentemente, non incide sui termini di legge per il pagamento degli importi richiesti, né costituisce violazione del principio di collaborazione e buona fede sancito dall’art. 10 della L. n. 212 del 2000” (Sentenza n. 29650/2019).
Occorre, da ultimo, rilevare che nell’ambito del D.Lgs. 220/2023, di riforma del contenzioso tributario, è stato integrato l’articolo 19, D.Lgs. 546/1992, per cui il ricorso può essere proposto avverso il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela obbligatoria, mentre il ricorso può essere proposto avverso il solo rifiuto espresso sull’istanza di autotutela facoltativa.
Inoltre, lo stesso D.Lgs. 220/2023 è intervenuto sull’articolo 21, D.Lgs. 546/1992 – sui termini per la proposizione del ricorso – secondo cui il ricorso avverso il rifiuto tacito dell’autotutela obbligatoria può essere proposto dopo il novantesimo giorno dall’istanza presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto.