L’istruttore sportivo è già un lavoratore subordinato?
di Guido MartinelliMarilisa RogolinoLa sezione lavoro della Corte d’Appello di Genova, con propria decisione dello scorso 9 febbraio, è intervenuta sulla disciplina del lavoro sportivo dilettantistico decidendo, ancor prima della pubblicazione dei decreti di riforma dello sport, in conformità alle linee guida che sarebbero dovute entrare in vigore solo dal 1° luglio del 2022.
Una SSD aveva impugnato l’avviso di addebito emesso dall’Inps per il pagamento della contribuzione ex Enpals relativa alla posizione di 96 collaboratori “trovati in sede ispettiva a lavorare presso il Centro Sportivo ed inquadrati con contratti di collaborazione sportiva ex articolo 67 , comma 1 lett. m) Tuir e svolgenti diverse attività”.
Soccombente in primo grado era ricorsa in appello.
Era stato rilevato in sentenza che le prestazioni si configuravano quali ordinarie obbligazioni sinallagmatiche; la società pubblicizzava la specializzazione dei propri collaboratori, per la maggior parte professionisti nella disciplina sportiva di competenza; l’attività prestata dai collaboratori era connotata da ripetitività, stabilità e sistematicità di comportamenti finalizzati a fornire un servizio non legato alla promozione di eventi sportivi dilettantistici riferibili a categoria determinata di utenza bensì un servizio indirizzato ad una committenza plurima e non distinguibile rispetto a quello fornito da una struttura sportiva a carattere commerciale; i compensi erano determinati in base alla tipologia del servizio e ragguagliati al grado di specializzazione dei collaboratori, computati sulla base delle ore lavorate.
Il Collegio riprende il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento premettendo che “è pacifico che nel nostro ordinamento gli enti che perseguono finalità sportive dilettantistiche sono destinatari di un particolare trattamento di favore”.
La Corte conferma che i compensi a fronte di prestazioni di tipo non professionale costituiscono redditi diversi; pertanto, non trattandosi di importi collegati ad attività lavorativa entro il limite di esonero oggi a 10.000 euro non sono assoggettati a contribuzione e ad imposizione fiscale.
L’esonero contributivo è condizionato al requisito soggettivo della finalità dilettantistica perseguita dall’ente, il requisito oggettivo costituito dallo svolgimento da parte dei collaboratori sportivi e gestionali di attività in modo non professionale, quindi “ non si deve trattare del loro lavoro”.
La società ricorrente doveva dare prova circa la ricorrenza della condizione di non professionalità.
L’ipotesi esentativa ha carattere eccezionale rispetto alla regola generale per cui “lo svolgimento di qualsiasi attività produttiva comporta oneri di solidarietà sociale”.
La solidarietà è un principio di matrice costituzionale declinata nell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (articolo 2 Cost.): “Per avere l’esonero fiscale e contributivo, il dilettantismo deve essere presente non solo in capo al soggetto che fruisce dei servizi della palestra ma anche e soprattutto in capo agli istruttori ed a coloro che collaborano nella gestione del Centro Sportivo”.
Osservava la Corte che “gli enti dilettantistici organizzano l’attività sportiva a favore di soggetti dilettanti che intendono fare esercizio fisico; il diletto è dunque dell’utente che si avvale della struttura sportiva per fare o imparare uno sport, ma non dei collaboratori (istruttori e amministrativi) di cui l’ente si avvale per organizzare l’attività sportiva”.
Occorre quindi verificare, per il Giudicante, caso per caso, che tipo di rapporto si sia instaurato tra il collaboratore e l’ente sportivo dilettantistico, ritornando quindi al concetto di professionalità.
Se il collaboratore svolge l’attività in modo professionale, i compensi da lui percepiti sono redditi da lavoro (dipendente o c.d. parasubordinato), altrimenti sono redditi diversi.
Occorre dunque spostare l’obiettivo dalla natura dilettantistica delle attività offerte dall’ ente sportivo alla natura dilettantistica della collaborazione, che – lo si ribadisce – non necessariamente coincidono.
E la collaborazione è di tipo dilettantistico quando non è lavoro; in altri termini deve trattarsi di attività non rientrante nel concetto di mestiere nel suo differente atteggiarsi.
“Questo è dunque il corretto modo per distinguere i due tipi di reddito: l’appassionato di sport che durante il proprio tempo libero allena un gruppo di sportivi dilettanti, se riceve per questa attività un compenso o un rimborso spese, percepisce un reddito diverso non assoggettato a contribuzione e, entro certi limiti, ad imposizione fiscale; ma ben diverso è il caso dell’istruttore di ginnastica che svolge questa attività di mestiere, i cui compensi sono redditi da lavoro da assoggettarsi a contribuzione…. E che tale debba essere il discrimen ai fini dell’ assoggettamento a contribuzione è dimostrato dalle abnormi conseguenze che potrebbero derivare dall’ impostazione prospettata dalla società oggi appellante: si pensi ad un istruttore diplomato che svolge in modo assolutamente professionale la sua attività a favore di più società sportive dilettantistiche percependo da ciascuna compensi inferiori alla soglia di imponibilità fiscale; ad accogliere la tesi difensiva dell’ appellante, questo lavoratore si troverebbe ad essere totalmente scoperto da tutela assicurativa, in violazione dei fondamentali principi di universalità della tutela assistenziale.”
Alla luce di questa chiara presa di posizione da parte della Magistratura, il rinvio a luglio 2022 degli effetti della riforma sul lavoro sportivo potrebbe essere privo di effetti.