Lo sfruttamento del sughereto è attività agricola
di Alessandro GambaLuigi ScappiniLa riforma del 2001 ha portato, come noto, una ridefinizione integrale della nozione di imprenditore agricolo evidenziando, come sempre, luci e ombre in sede di analisi a consuntivo.
L’imprenditore agricolo è colui che esercita, alternativamente, una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di bestiame. Le attività appena richiamate vengono quindi comunemente chiamate attività agricole ex se, in contrapposizione con quelle connesse che, al contrario, nascono quali commerciali e solamente per una fictio iuris cambiano natura in presenza di determinati requisiti.
Una delle novità introdotte dalla riforma consiste nell’introduzione del ciclo biologico quale elemento dirimente per poter qualificare come agricole le attività esercitate, trasformando l’imprenditore agricolo da un soggetto statico a uno dinamico che può anche limitarsi a svolgere una parte, comunque rilevante, del ciclo biologico.
Tra le attività agricole ex se, quella forse meno indagata dalla dottrina è la selvicoltura, alla quale è (era) dedicato un decreto legislativo ad hoc (D.Lgs. 227/2001), che verrà a breve sostituito in ragione dell’approvazione da parte del Governo uscente di uno schema di decreto legislativo recante il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali. Il nuovo decreto si segnala per essere maggiormente definitorio, in modo tale da circoscrivere meglio il settore, come si evidenzierà meglio nel proseguo.
In questo contesto si innesta la sentenza CTP Sassari, n. 236/III/2018, che ha statuito in merito a un accertamento avente a oggetto un contribuente proprietario di una sughereta che procedeva alla cessione della corteccia a conclusione del ciclo biologico della pianta.
A parere dell’Agenzia delle Entrate, tale attività doveva essere ricondotta tra quelle commerciali non svolte abitualmente con conseguente tassazione quale reddito diverso ex articolo 67, comma 1, lett. i), Tuir.
Al contrario, a parere del contribuente quella era una caratteristica attività agricola, nello specifico annoverabile tra quelle tipiche della selvicoltura, con conseguente tassazione quale reddito agrario ex articolo 32 e ss., Tuir.
I giudici, in via preliminare, sollecitati dal contribuente, evidenziano come la definizione di imprenditore agricolo comporti il rispetto di un requisito di natura oggettiva e mai soggettiva, non essendo sotto questo aspetto prevista alcuna preclusione.
In altri termini, il Legislatore della riforma per definire l’imprenditore agricolo utilizza non parametri di natura soggettiva, bensì oggettiva, dovendo semplicemente essere svolte alternativamente una delle 3 attività agricole ex se prima individuate. Quindi, discrimine per la qualifica di imprenditore agricolo è l’esercizio di un’attività, sia essa di coltivazione del fondo, selvicoltura o allevamento del bestiame, a prescindere dalla forma di esercizio prescelta, sia essa quella individuale o collettiva di capitali.
Tuttavia, tali attività, per essere considerate agricole, devono, come previsto dall’articolo 2135, comma 2, cod. civ., prevedere lo svolgimento di un ciclo biologico o di parte di esso.
E tale è l’attività consistente nel possedere e curare un sughereto al fine di ottenere la corteccia prodotta.
Di tale avviso è anche l’Agenzia regionale per la ricerca in agricoltura della Sardegna secondo la quale, si legge testualmente nella sentenza, l’attività della sughericoltura “può equipararsi alla silvicoltura, attività che rientra a pieno titolo tra le attività rientranti nelle agevolazioni fiscali relative alla produzione di reddito agrario”.
Tale affermazione del resto anticipa quanto contenuto nell’articolo 4, comma 1, lett. a) dello schema di decreto legislativo richiamato, in cui sono assimilati ai boschi “le formazioni vegetali di specie arboree o arbustive in qualsiasi stadio di sviluppo, di consociazione e di evoluzione, comprese le sugherete e quelle caratteristiche della macchia mediterranea …”.
Ne deriva che, se prima vi era qualche dubbio in merito alla corretta qualificazione di determinate attività, quali ad esempio la tenuta dei sughereti, in quanto parimenti collocabili tra la coltivazione del fondo e la selvicoltura, a seguito dell’approvazione dello schema di cui sopra non vi saranno più problematiche interpretative.
Infatti, sempre riprendendo lo schema di decreto legislativo, la circostanza che all’articolo 5, rubricato “Aree escluse dalla definizione di bosco”, vi sia ricompresa al comma 1, lettera b) l’arboricoltura da legno consistente nella “coltivazione di impianti arborei in terreni non boscati o soggetti ad ordinaria lavorazione agricola, finalizzata prevalentemente alla produzione di legno a uso industriale o energetico e che è liberamente reversibile al termine del ciclo colturale” fa si che la stessa si dovrà considerare sempre attività agricola ma riconducibile alla tipologia della coltivazione del fondo.
A chiusura si evidenzia come la cessione del sughero seguirà, ai fini Iva, le regole di cui all’articolo 34 D.P.R. 633/1972, essendo il sughero naturale greggio e cascami di sughero, sughero frantumato, granulato o polverizzato, tra i prodotti ricompresi nella Tabella A, prima parte, allegata al D.P.R. 633/1972, salvo facoltà concessa al contribuente di optare per le regole ordinarie di detrazione dell’imposta.
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