Lo sport e l’emergenza sanitaria
di Guido MartinelliMarco D’IsantoIl blocco delle attività sportive causata dalla emergenza sanitaria sta facendo emergere una serie di problematiche fino ad oggi mai esaminate.
Infatti, le associazioni e le società sportive, ad esempio, sono da una parte obbligati alla chiusura totale delle loro attività e quindi all’incapacità obiettiva di produrre ricavi e dall’altra sono costrette a continuare a garantire, ad esempio, il pagamento dei canoni di locazione degli impianti sportivi.
Per coloro i quali operano in impianti “pubblici” è intervenuto l’articolo 95 D.L. 18/2020, rubricato “Sospensione versamenti canoni per il settore sportivo” che consente alle associazioni e società sportive, sia professionistiche che dilettantistiche, con domicilio fiscale, sede legale o sede operativa nel territorio dello Stato, di sospendere dal 17 marzo fino al prossimo 31 maggio 2020 i termini di pagamento dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali.
Ma non vi è dubbio che la situazione in esame costituisce certamente un fatto non riconducibile al concessionario, dovuto a norme regolamentari, che va ad incidere sulle condizioni di equilibrio economico-finanziario del rapporto concessorio pregiudicato a causa della sospensione o della limitazione delle attività e, quindi, a causa del venir meno dei ricavi ad esse riconducibili.
Ne deriva che questo potrà produrre anche una revisione dei rapporti concessori con “possibile” allungamento della stessa o comunque rideterminazione dei suoi contenuti.
Purtroppo analoghe “buone notizie” (salvo novelle che potranno essere inserite in sede di conversione del decreto legge Cura Italia) non possono essere date per i gestori di impianti sportivi di proprietà privata che dovranno necessariamente addivenire ad un accordo.
Infatti si ritiene che non possa trovare applicazione il credito di imposta previsto dall’articolo 65 D.L. 18/2020 per i soggetti che svolgono attività commerciali e artigianali in locali accatastati nella categoria C/1.
Si pone dunque il problema di verificare, mediante una negoziazione con i rispettivi proprietari degli immobili, la possibilità di ridurre il canone di locazione e di eventualmente posticipare il pagamento del corrispettivo nei mesi in cui si saranno ripristinate condizioni di normalità.
Sul presupposto che, nel caso in esame, non si voglia comunque raggiungere il risultato di una risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ma una sua conservazione a condizioni riviste alla luce della ridotta possibilità, per un determinato periodo, dell’utilizzo degli stessi.
In tal caso il conduttore potrà proporre la sospensione dei canoni per il periodo in cui non ha potuto, per factum principis, godere dell’immobile e la ripresa della prestazione concernente l’obbligo del pagamento non appena la prestazione oggetto del contratto diventi possibile. Ovviamente sul presupposto che oggetto della locazione sia un immobile destinato a “palestra” (vedi sul punto anche l’articolo 1258, comma 1, cod. civ.).
La Corte di Cassazione (sentenza n. 5576 del 09.04.2003) ha stabilito che “le sole variazioni del canone non sono di per sé indice di una novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione”.
Si tratta, infatti, di una modifica di un elemento qualificato accessorio che non impatta sugli elementi essenziali dell’obbligazione, e, dunque, una modifica del canone non costituisce novazione contrattuale e di conseguenza non comporta la stipula di un nuovo contratto di locazione.
Nella risoluzione 60/E/2010 l’Agenzia delle Entrate chiarisce che un accordo, che preveda la riduzione del canone, non concretizza una ipotesi di cessione, risoluzione o proroga dell’originario contratto di locazione, né determina una ulteriore liquidazione dell’imposta e pertanto non sussiste in capo ai contraenti l’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria la modifica contrattuale intervenuta.
Nella stessa Risoluzione si chiarisce però che può rispondere ad esigenze probatorie la necessità di attribuire all’atto di modifica contrattuale la data certa di fronte ai terzi mediante registrazione dell’accordo contrattuale.
L’esigenza probatoria può essere rilevante proprio nei confronti della stessa Amministrazione finanziaria, in virtù del fatto che la riduzione del canone comporta una diminuzione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro e delle imposte dirette. Dunque in caso di registrazione volontaria dell’accordo per fini essenzialmente probatori occorrerà fare riferimento al contratto originario e ai relativi estremi di registrazione.
Nel 2013 è poi intervenuto D.L. 133/2014 (cosiddetto “Sblocca-Italia”) che, all’articolo 19, ha previsto che “la registrazione dell’atto con il quale le parti dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione ancora in essere è esente dalle imposte di registro e di bollo”.
La risposta ad istanza di interpello n. 124 del 2018 l’Agenzia delle Entrate, nel recepire l’intervento normativo, ha chiarito che l’ampia formulazione della previsione agevolativa contenuta nel D.L. 133/2014 porta a ritenere che la possibilità di poter fruire di un regime di esenzione dall’imposta di registro e di bollo per la registrazione dell’atto con le quali le parti dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione trovi applicazione senza che assuma alcuna rilevanza la natura dell’immobile.