Lo sport, il terzo settore e le agevolazioni fiscali
di Guido MartinelliLa collocazione delle sportive iscritte al registro Coni (o al futuro registro delle attività sportive dilettantistiche tenuto dal dipartimento sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, come previsto dalla riforma che entrerà in vigore a fine 2023) all’interno del Runts (da quando sarà istituito) produce una serie di problemi che proviamo, di seguito, ad elencare.
In via preliminare va rimarcata la necessità, ad oggi esistente, per qualsiasi ente che voglia essere sia “sportivo” che “del terzo settore” di dover duplicare gli adempimenti, in quanto molta della documentazione richiesta dal registro Coni dovrà essere trasmessa anche al Runts e viceversa. Purtroppo, al momento almeno, non è previsto che i due registri dialoghino tra di loro (come invece accadrà tra Runts e registro delle imprese in materia di impresa sociale) con buona pace della disciplina sulla semplificazione amministrativa che “vieterebbe” alla Pubblica Amministrazione di richiedere dati di cui sia già in possesso.
Ma l’impossibilità, almeno allo stato attuale dell’arte (ricordiamo che i rumors di revisione della disciplina fiscale degli enti del terzo settore, motivo della non ancora trasmessa autorizzazione alla Ue, si stanno intensificando) per le sportive del terzo settore di applicare la L. 398/1991 e l’articolo 148, comma 3, Tuir è l’aspetto che, sotto il profilo operativo, presenta le maggiori conseguenze.
Partiamo dalla cessione dei diritti sulle prestazioni degli atleti, sia a tempo determinato (prestito) che definitivo.
La riforma dello sport conferma, con l’articolo 36, comma 3, D.Lgs. 36/2021 (la prassi amministrativa era già costante sul punto, come è stato ribadito dalla circolare AdE 18/E/2018), che dette transazioni, sia a tempo determinato (prestito) che definitivo, possano godere della decommercializzazione dei proventi ai fini dei redditi ai sensi dell’articolo 148, comma 3, Tuir.
Ma, ovviamente, nel solo caso in cui il cedente possa applicare tale disciplina e, pertanto, sia iscritto solo al registro Coni.
Il cedente, ente del terzo settore, quindi, assoggetterà ad imposizione diretta i corrispettivi derivanti da tali cessioni, che saranno decommercializzati, invece, per i soggetti iscritti solo al registro Coni.
Le medesime conseguenze le avremo per due altre fattispecie diffuse nel mondo sportivo.
La prima relativa alla cessione dei diritti sportivi, l’altra per l’affitto di spazi in impianti sportivi.
Se il trasferimento del titolo sportivo è caratteristica degli sports di squadra (e solo per quelle Federazioni i cui regolamenti lo consentono), l’affitto degli impianti sportivi (ossia una asd/ssd che gestisce un impianto sportivo e cede in utilizzo gli spazi che non occupa con i propri atleti ad altre asd/ssd) è trasversalmente diffuso nel mondo dello sport.
Ebbene anche qui, in entrambe le fattispecie, sarà necessario giungere alle medesime conclusioni. Ove il cedente sia ente del terzo settore il ricavato costituirà componente positivo di reddito, sarà invece decommercializzato in caso di sola iscrizione al registro Coni.
Rimane un dubbio: quale sia il comportamento da adottare nel caso in cui il cedente sia iscritto solo al registro Coni ma il cessionario sia anche ente del terzo settore. Sarà applicabile in questo caso l’articolo 148, comma 3, Tuir?
Un chiarimento ministeriale potrebbe essere gradito.
Volendo esaminare la problematica della L. 398/1991 va ricordato, in via preliminare, che l’articolo 79, comma 1, c.t.s. esclude dalla applicazione del titolo X del D.Lgs. 117/2017 (e quindi dalla non applicabilità della L. 398/1991 di cui all’articolo 89, comma 1, lett. c) le imprese sociali.
Pertanto la disciplina fiscale delle imprese sociali si discosta dagli altri enti del terzo settore, con particolare riferimento allo sport, in quanto potranno applicare sia l’articolo 148, comma 3, Tuir che la citata L. 398/1991.
Molto si è scritto sulla sostanziale equivalenza tra il regime forfettario previsto da tale ultima disciplina e quello speciale previsto dall’articolo 86 cts per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale.
Anzi, si è detto, a prescindere dalla differenza di volume d’affari (400.000 euro per la L. 398/1991 e 130.000 euro per la norma del terzo settore, che comunque, ad avviso di chi scrive, non è cosa da poco) la disciplina del D.Lgs. 117/2017 appare più conveniente in quanto applicabile anche alle attività diverse, contrariamente al forfait della L. 398/1991, applicabile solo ai proventi delle attività commerciali connesse all’attività sportiva principale.
Ci si dimentica però di un aspetto che, per le sportive, è stato fino ad oggi in moli casi “vitale” e ne ha garantito la sopravvivenza.
Se una sportiva “aps” fattura ad uno sponsor 100.000 euro, incassa tale cifra netta in quanto non opera, ai sensi del comma sette lett. a) dell’articolo 86, rivalsa iva sulle vendite.
Ma se la stessa fattura venisse emessa solo da una sportiva, il ricavo ivato diventa 122.000. Per l’azienda sponsor nulla muterebbe in quanto opererà la detrazione sulle vendite ma, alla sportiva, dopo l’abbattimento al 50% dell’iva, rimarrà una disponibilità di 111.000 euro.
Pertanto le sportive “aps”, su una sponsorizzazione da 100.000 euro, avranno unicamente la disponibilità di tale somma; le “solo” sportive, dell’undici per cento in più.
Anche questo sembra un elemento di cui dover tenere conto.