Lo Stato paga in ritardo? Niente sanzioni sugli omessi versamenti
di Massimo Conigliaro
Nessuna sanzione in caso di omessi versamenti dovuti al mancato incasso di crediti verso la Pubblica Amministrazione. L’interessante quanto condivisibile principio è stato di recente sancito dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma, Sezione XI, sentenza n. 575 del 10 dicembre 2013 applicando i principi sanciti nel D. Lgs. 472/97.
E’ noto che l’art. 5 della Legge 212/2000 (lo Statuto dei Diritti del Contribuente), in tema di colpevolezza, stabilisce, al 1 comma, che, nelle violazioni punite con sanzioni amministrative, ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Quanto alla gravità della colpa, essa é disciplinata dal 3 comma del predetto art. 5, ed “e’ grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non e’ possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari. Non si considera determinato da colpa grave l’inadempimento occasionale ad obblighi di versamento del tributo.”
Applicando tale principio, la C.T.R. Roma ha stabilito che secondo una interpretazione letterale di tale ultima disposizione soltanto nel caso di inadempimento occasionale, non sussiste la colpa grave con sussistenza della colpevolezza della ricorrente società.
Tale norma, letta congiuntamente all’art. 6, comma 5, della L. 212/2000 relativo alle cause di non punibilità può portare all’esimente della non punibilità del soggetto che ha commesso il fatto per forza maggiore.
La forza maggiore – si legge nella sentenza – è quell’ accadimento esterno e superiore al volere del soggetto che determina, in modo irresistibile ed inevitabile, il medesimo ad un’azione oppure ad un’omissione e la circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n.180/E del 10 luglio 1998 la definisce ” ogni forza del mondo esterno che determina in modo inevitabile il comportamento del soggetto”.
Nel caso trattato, una società convenzionata con il servizio sanitario nazionale aveva impugnato una cartella di pagamento di oltre 500 mila euro, documentando non soltanto la propria carenza di liquidità ed il difficile momento finanziario, ma anche che tale situazione dipendeva dal cronico ed insostenibile ritardo nei pagamento da parte dell’Azienda Sanitaria locale che tratteneva risorse di gran lunga superiori al debito erariale.
Tale situazione, così come risultava dalla documentazione prodotta in giudizio, era conseguente a crediti non riscossi,ancorché esigibili, verso le A.S.L. e gli Ospedali pubblici per quasi 6 milioni di euro, così come risultanti dai bilanci di esercizio prodotti in giudizio.
Peraltro, – osservano i giudici capitolini – è nota la situazione di deficit complessivo del sistema sanitario nazionale con le conseguenti difficoltà delle aziende sanitarie ed ospedaliere a far fronte ai pagamenti nei confronti dei fornitori, testimoniate dai vari interventi legislativi succedutisi anche con provvedimenti di urgenza con i quali sono entrate in vigore normative finalizzate all’impossibilità della riscossione dei crediti da parte delle imprese fornitrici di beni e di servizi per la previsione della preclusione di azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie debitrici.
La ricorrente rappresentava attraverso l’analisi degli indici di indebitamento e solvibilità una situazione di obiettiva e consolidata crisi finanziaria per cui, alla chiusura del bilancio relativo all’anno 2005, l’esposizione bancaria ammontava ad Euro 6.869.297,00 con la maturazione di interessi passivi nel citato esercizio per Euro 335.515,00 ai sensi dell’art. 2425, punto 17 del c.c..
Ciò posto, la società si trovava nella ben strana situazione di essere debitrice nei confronti dell’ Amministrazione fiscale per Euro 579.782,60, comprensivi di interessi e sanzioni, e di essere creditrice nei confronti della Pubblica Amministrazione di ben 5.883.578,00.
La Commissione ha ritenuto pertanto fondata la doglianza formulata dalla contribuente in ordine al fatto che l’impossibilità del pagamento dovuto a forza maggiore comportava di conseguenza un circolo vizioso con l’applicazione dell’art. 48 bis del D.P.R. n. 602 del 1973, il quale prevede che le amministrazioni pubbliche, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila Euro, verificano se il beneficiario é inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento e, in caso affermativo, non procedono al pagamento.
Ad ulteriore rafforzamento della propria decisione, la Commissione si è riportata al 2 comma dell’art. 10 della L. 27 luglio 2000, n. 212, il quale stabilisce che non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente nel caso in cui il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione finanziaria.
E’ vero che tale disposizione fa riferimento alla sola amministrazione finanziaria, ma non è precluso all’interprete di ricorrere ad un’interpretazione estensiva della disposizione perché il caso, se pur non espressamente previsto, è eguale a quello disciplinato e può quindi essere considerato implicitamente nella disposizione, tenuto peraltro conto dell’intentio legislatoris, che diviene pertanto norma né può essere sottaciuto l’insegnamento impartito al riguardo dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza del 18 dicembre 2007, n. 3171, depositata in data 11.02.2008.
Un’apertura importante che può aprire la strada ad un filone di giurisprudenza di particolare favore per i contribuenti.