7 Agosto 2015

Lo studio di settore non salva dall’irrazionalità dell’attività svolta

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15323 del 21 luglio 2015, aggiunge un importante tassello al tema dell’accertamento analitico induttivo in presenza di uno studio di settore, questa volta evidenziando che l’essere il contribuente parzialmente in linea ad alcune risultanze del modello statistico non consente di evitare l’accertamento qualora l’amministrazione finanziaria provi, con presunzioni gravi, precise e concordanti, che i risultati dichiarati siano totalmente inattendibili.

Il caso analizzato è abbastanza particolare, in quanto si è in presenza di un accertamento svolto dall’Agenzia delle Entrate prendendo in considerazione alcuni parametri del contribuente e ponendoli a confronto con i valori medi riscontrati nel settore di appartenenza.

Nello specifico, l’ente accertatore aveva rimarcato la non credibilità e razionalità dei risultati raggiunti nell’attività svolta, in considerazione del basso ricarico praticato, della consistente quantità di merce in magazzino e degli scarsi corrispettivi realizzati, confrontando detti risultati con quelli medi di aziende similari. Il contribuente, da parte sua, si era difeso evidenziando tra le altre motivazioni che proprio l’indice di rotazione del magazzino ed il ricarico praticato erano risultati coerenti all’elaborazione degli studi di settore, adducendo di fatto che il confronto con il dato statistico più ampio offerto da Gerico rappresenta un elemento di “garanzia” circa i risultati raggiunti nell’attività.

La tesi difensiva è risultata vincente in commissione provinciale, ma è stata totalmente ribaltata in regionale, laddove l’organo giudicante ha ritenuto assolutamente non giustificate le discordanze presenti nelle enormi quantità di merce in magazzino in rapporto al volume d’affari, specificando peraltro che nemmeno il basso ricarico poteva apparire razionale, soprattutto in considerazione della circostanza che solo il 20% dei corrispettivi era stato introitato in periodi di saldi.

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Commissione Regionale, rimarcando soprattutto che spetta al giudice di merito la valutazione delle prove addotte dall’amministrazione finanziaria a sostegno del proprio accertamento.

La Suprema Corte evidenzia come non vi siano vincoli alla determinazione dell’accertamento analitico induttivo, potendo l’Agenzia delle Entrate assumere i parametri che ritiene importanti sul fronte del controllo, a condizione che sia ricorrente il principio dell’id quod plerumque accidit. In particolare, viene specificato il ruolo degli studi di settore, che così come, in sede accertativa, non hanno che valenza di presunzione semplice non essendo in grado di “reggere” autonomamente un accertamento, allo stesso tempo non possono avere particolare “forza” in sede difensiva, in specie quando sono provate circostanze e fatti (nel caso, l’anomalo accumulo di merce in magazzino e il ricarico basso), che permettono di sostenere l’accertamento svolto: “La procedura di accertamento fiscale sulla base…. degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento…..ma l’affianca ….Nulla esclude, per conseguenza, che in sede di accertamento analitico induttivo l’amministrazione si possa basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente, pur tratti dagli studi di settore, senza essere tenuta a verificare tutti i dati richiesti per lo studio (…) Quel che rileva è il peso da attribuire agli elementi prescelti e la loro idoneità ad assurgere al rango di presunzioni gravi, precise e concordanti”.

L’insegnamento della Corte di Cassazione è lampante e prezioso, soprattutto in sede di dichiarazione dei redditi, dove spesso si assiste ad inutili tentativi di “ritrovare” la congruità perduta. Il problema non è rappresentato dallo studio di settore, ma dalla credibilità del contribuente.

Tentare ogni soluzione per diventare congrui a tutti i costi espone solo al rischio di un accertamento induttivo puro. Allo stesso tempo, essere in linea con gli studi di settore ma avere dei risultati del tutto irrazionali comunque non può far ritenere il contribuente immune da accertamenti. L’aspetto fondamentale è avere una valida spiegazione economica alla modalità con cui è svolta l’attività: questa rappresenta la soluzione migliore non solo per prevenire i controlli, ma soprattutto per avere ottime tesi difensive da spendere.

Altrimenti l’accertamento avrà vita facile, come da tempo illustra la Suprema Corte, essendo al riguardo sufficiente richiamare  la sentenza n. 1839 del 2014, che h sottolineato come “(…) una volta contestata l’antieconomicità (…) poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia aziendale, incombe su quest’ultimo (ossia il contribuente), l’onere di fornire al riguardo le necessarie spiegazioni. In difetto, sarà pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo (…)”. Ed ancora: “E neppure tale potere di accertamento potrebbe considerarsi impedito dalla regolarità della contabilità (…) che non può costituire, a fronte di una condotta antieconomica (…) neppure una valida prova contraria (…)”. Al dunque non esiste congruità, coerenza o contabilità corretta che tenga: se i comportamenti sono irrazionali e non giustificabili, l’accertamento potrà essere validamente effettuato.