1 Dicembre 2014

Lo studio è un acquario

di Michele D’Agnolo
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Ogni volta che il mio amico mi invita a cena, sono enormemente attratto dal suo acquario. In un angolo del soggiorno fa bella mostra di sé un piccolo mondo in miniatura. È bello poter ammirare dietro ad un cristallo un piccolo ma completo ecosistema dove diverse specie di pesci variopinti, alghe lussureggianti e piccoli molluschi convivono in apparente armonia. 

Non so perché, ma quando guardo agli acquari mi viene sempre in mente lo studio professionale. E non sono, come si potrebbe immaginare, reminescenze di fantozziana memoria.

Anche nello studio professionale come nell’acquario ci sono animali di varia foggia e dimensione: ci sono i professionisti, i praticanti, gli impiegati. Ci sono i fornitori e i clienti che ci danno il nutrimento e guardano oltre il vetro lo spettacolo dell’organizzazione dello studio: i pesci e i molluschi si muovono liberamente, ma non vanno mai a sbattere sulle pareti. Tutto convoglia il senso di una certa armonia.

Eppure quel mare bonsai di calma apparente è in realtà il risultato di un duro e incessante lavoro di pianificazione e di gestione.

Il primo problema dell’acquario, mi riferisce il mio amico, è che se sbagli il tipo di pesce che inserisci puoi avere un sacco di problemi. In altre parole se il pesce è della specie sbagliata, troppo vorace, si inghiotte gli altri. Inoltre, se quel pesce non è adatto a certe temperature o a un certo dosaggio di microrganismi, finirà col danneggiare le altre creature e morirà dopo poco. Esattamente quello che succede quando inseriamo in studio una persona sbagliata. Sbagliata per lo studio, intendo. L’impiegato che sembrava brillantissimo in sede di colloquio e invece si rivela superficiale, ciarliero e disordinato. Il praticante fancazzista o quello troppo aggressivo e rampante. Il professionista inserito lateralmente che porta con sé una cultura diversa dell’organizzazione e del rischio sono tutte ipotesi di attentati alla cultura faticosamente raggiunta e sedimentata dallo studio.

E quindi l’attento appassionato di acquari deve studiare e conoscere le specie, saperne le abitudini e le idiosincrasie. E deve continuamente frequentare i negozi di animali acquatici per sondare la disponibilità delle specie che ha deciso di combinare insieme. In altre parole uno studio professionale, visto il sempre più elevato turnover dei collaboratori e dipendenti, dovuto alla globalizzazione e alla scarsa soddisfazione delle carriere professionali, deve tenere aperto uno sportello di reclutamento permanente. E deve saper identificare a priori e rapidamente eventuali caratteristiche negative di un candidato. Altrimenti invece di risolvere un problema, l’inserimento sbagliato ne genera molti di più.

L’acquariologo, inoltre, dovrà scegliere e mantenere appropriato ed equilibrato di tempo in tempo il giusto mix tra pesci e altre creature proprio come un managing partner deve assicurare allo studio un certo numero di cavalli da corsa e cavalli da tiro, di risorse con una adeguata proporzione di competenze motivazionali, commerciali, organizzative ed esecutive.

Ci sono anche problemi di indole, di personalità. Alcuni pesci, assolutamente inoffensivi, messi vicino ad altri esemplari della stessa specie o di specie diverse, si rivelano particolarmente aggressivi, ostili e difficili da gestire. È come il nitro con la glicerina, sono inoffensivi ma messi assieme diventano esplosivi. E allora il bravo hobbista di acquari deve avere la possibilità di dividerli, oppure disporre di una vasca abbastanza grande da assicurare che ci sia spazio per tutti. E così il nostro appassionato si deve prodigare continuamente per far sì che le creaturine all’interno della vasca vadano d’amore e d’accordo. Gestendo e ridimensionando le prime donne con i loro atteggiamenti competitivi e troppo inclini al rischio, ma anche lavorando per far recuperare spazio a chi è rimasto indietro, a quelli che non riescono a stare al passo.

Devono sempre essere tenute funzionanti e perfettamente pulite la macchina per l’ossigeno e la macchina che distribuisce il cibo, altrimenti i pesci rallentano il metabolismo e le alghe avvizziscono, fino a perire.

Non bisogna però esagerare, perché al contrario i pesci non sanno dosare il proprio nutrimento da soli e finiscono con lo sbafare tutto ciò che gli viene messo davanti.

Le alghe, se la quantità di nutrienti è eccessiva, possono crescere fino a ricoprire completamente i sassi e i coralli e fanno diventare l’acqua torbida.

Ed ecco che anche il professionista che gestisce lo studio deve assicurare un continuo flusso di lavoro, ma deve altrettanto evitare eccessivi carichi o picchi di lavoro ed anche periodi di eccessiva stanca, da entrambi i quali è difficilissimo recuperare.

Di tanto in tanto, l’acquario deve comunque essere svuotato, prima dei pesci e delle altre creature viventi, che vengono conservate in un secchio a parte, e poi deve essere liberato dall’acqua, per poterlo ripulire.

È un po’ quello che succede nello studio quando si fa, almeno un paio di volte l’anno, un audit interno completo, intervistando le persone davanti ad una pratica da loro svolta, per vedere quali sono i problemi che incontrano.

L’acquario inoltre è pieno zeppo di aggeggi che servono a misurare la temperatura dell’acqua, la quantità di ossigeno, e molti altri parametri che debbono essere letti continuativamente dal nostro appassionato.

Allo stesso modo, all’interno dello studio è utile misurare il tempo di attraversamento dei processi, il tempo di esecuzione degli stessi, la quantità di lavoro svolta dalle varie persone e reparti. Senza di queste misure si rischia di commettere vistosi errori gestionali e di andare a correggere situazioni stabili, portando instabilità o di non vedere e affrontare tempestivamente situazioni potenzialmente dirompenti.

I coralli e le pietre che giacciono sul fondo dell’acquario non hanno soltanto una funzione estetica, o di arredo, ma servono anche a consentire la vita degli organismi. Nello studio le infrastrutture come le stanze, gli arredi, le dotazioni informatiche, gli eventuali apparecchi di cui certe professioni abbisognano, possono davvero fare la differenza se sono della giusta qualità e quantità e se sono correttamente mantenuti e utilizzati.

L’illuminazione, infine, deve essere del colore e della temperatura giusta, a seconda del tipo di creature coinvolte.

E quindi chi gestisce uno studio deve saper dare soddisfazione alle persone sapendole mettere sotto i riflettori, ma nel modo giusto, senza esagerare. Lodando sempre e senza far mancare il supporto quando si è realizzato qualcosa di eccezionalmente bello o difficile. E i riflettori devono essere non solo per alcuni, ma per tutta la squadra.

Anche il vetro della vasca ha la sua importanza. Non deve essere troppo permeabile, altrimenti i pesci si spaventano per i visitatori che appiccicano il naso sulle pareti e per ciò che accade all’esterno, ma deve essere sempre assicurato un sufficiente apporto di luce esterna. E così chi gestisce uno studio deve dosare la disponibilità delle persone nei confronti dei clienti, senza renderle introvabili ma proteggendole al contempo da clienti troppo insistenti o invadenti.

Lo studio manifesta quindi, nel suo piccolo, tutti i comportamenti tipici degli ecosistemi. E così, per esempio, qualsiasi possa essere il nostro intervento, lo studio tenderà a reagire per rimanere in equilibrio, a rimanere omeostatico. Di conseguenza, talvolta i nostri sforzi organizzativi si scontreranno con uno scomodo muro di gomma.

Lo studio ha comportamenti sistemici. In altre parole quando interveniamo è come tirare un filo ad un burattino: dobbiamo chiederci quale sarà il saldo finale, cioè cosa accadrà dopo che si saranno riaggiustate tutte le altre funi che si saranno mosse di conseguenza.

Lo studio risponde alle sollecitazioni con comportamenti tipicamente non lineari, e quindi quando interveniamo alle volte basta una parola per far scoppiare rapporti durati decenni o per scrostare situazioni apparentemente sclerotizzate mentre qualche altra volta anche licenziando in tronco mezzo studio non si riesce a ribaltare una semplicissima cattiva abitudine.

Ho sempre ammirato il mio amico e il modo in cui gestisce il suo bell’acquario, ma dopo aver scritto questo pezzo, lo rispetto e gli voglio bene ancora di più.