8 Febbraio 2023

L’OCSE e l’evoluzione della fiscalità internazionale: riflessioni sul Pillar One e sul Pillar Two

di Gian Luca Nieddu
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Nell’ottobre 2021, il c.d. Inclusive Framework (IC) dell’OCSE/G20 sul Progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) ha concordato un approccio a due pilastri per affrontare le sfide derivanti dalla tassazione dell’economia digitale.

Negli ultimi anni, il progetto BEPS – a seguito del lavoro sulla tassazione dei beni immateriali e sulla comunicazione tra le autorità fiscali – ha compiuto progressi significativi quanto alla definizione di misure di contratto al trasferimento artificioso di utili messo in atto dalle imprese multinazionali (MNE).

 

Cos’è il Pillar One

Il Pillar One (o primo pilastro) si concentra sull’allocazione degli utili e sul concetto di nexus. Si allontana dall’approccio più tradizionale alla tassazione della “presenza fisica” trasferendo i diritti di tassazione nelle c.d. market jurisdictions, ovvero in quelle giurisdizioni in cui sorgono le attività commerciali (i.e., luoghi di commercializzazione e luoghi di presenza degli utenti) e sono originati i conseguenti profitti.

I primi esempi concreti di questo nuovo approccio sono rappresentati dalla introduzione di imposte sui servizi digitali a livello domestico, come ad esempio è accaduto nel Regno Unito, in Italia, in India ed in altri paesi in cui abbiamo assistito alla implementazione di misure unilaterali simili. Tuttavia, è già previsto che queste misure unilaterali saranno abrogate una volta che sarà raggiunto l’accordo sui meccanismi di funzionamento del Pillar One (c.d., sunset clause).

Da un punto di vista operativo, le disposizioni contenute nel Pillar One si applicano solo alle multinazionali di maggiori dimensioni, ovvero quelle con ricavi globali superiori a 20 miliardi di euro e un margine di utile prima delle imposte superiore al 10%.

L’approccio proposto per il funzionamento del Pillar One è tecnicamente complesso: in sintesi, comporterà l’insorgenza di nuovi diritti di tassazione a favore delle market jurisdictions, basati essenzialmente su un approccio semplificato, piuttosto che sull’utilizzo del principio di libera concorrenza. Ciò consentirà la tassazione degli utili residui nelle giurisdizioni a cui sono assegnati almeno 1 milione di euro di entrate (250.000 euro per le giurisdizioni con un PIL inferiore a 40 miliardi di euro). Le disposizioni di questo aspetto sono contenute nelle regole di calcolo del c.d. Amount A.

Un secondo aspetto (i.e., Amount B) del Pillar One è l’allocazione di un profitto minimo per le funzioni routinarie connesse alle attività di marketing e distribuzione.

Sebbene le proposte originarie quanto ai concetti ed ai meccanismi di funzionamento del Pillar One fossero mirate a modelli di business altamente digitalizzati, quelle successive hanno assunto una portata molto più ampia, benché si preveda l’esclusione da tale disciplina per alcuni specifici settori, quali ad esempio i servizi finanziari regolamentati.

 

Che cos’è il Pillar Two

Il punto focale del Pillar Two (o secondo pilastro) è l’introduzione di una aliquota fiscale minima globale del 15%.

L’obiettivo è ridurre l’incentivo per le imprese multinazionali ad operare in giurisdizioni a bassa o nulla fiscalità, porre un limite alla concorrenza fiscale tra Stati e favorire la sostenibilità dell’imposta sul reddito delle società come principale fonte di entrate pubbliche.

Le disposizioni concernenti il Pillar Two si applicheranno solo ai gruppi multinazionali con un fatturato consolidato totale di almeno 750 milioni di euro.

I meccanismi di funzionamento del secondo pilastro, i cui lavori sono in una fase più avanzata rispetto al Pillar One, si concentrano su un approccio in due fasi per concedere alle giurisdizioni ulteriori diritti impositivi.

Più precisamente, da un lato si ha un set di disposizioni da implementare a livello di normative nazionali, comunemente denominate GloBE (Global Anti-Base Erosion Model Rules): in particolare, esse prevedono un sistema coordinato di tassazione che impone un’imposta aggiuntiva (top-up tax) sugli utili realizzati in una giurisdizione ogniqualvolta l’aliquota fiscale effettiva, determinata su base giurisdizionale, è inferiore all’aliquota minima. Ecco dunque che la “regola di inclusione del reddito” (Income Inclusion Rule – IIR) impone un’imposta aggiuntiva in capo alla casa-madre allorquando essa detiene partecipazioni in società controllate situate in giurisdizioni ove l’aliquota fiscale effettiva (Effective Tax Rate – ETR) è inferiore al 15%.

Ad essa si affianca la c.d. “regola dei pagamenti sottotassati” (Undertaxed Payment Rule – UTPR) la quale ha lo scopo di negare detrazioni o impedire rettifiche sugli utili che non sono soggetti al livello minimo di tassazione ai sensi della “regola di inclusione del reddito”.

Le disposizioni GloBE sono poi accompagnate da un meccanismo di salvaguardia (Subject To Tax Rule – STTR) che consente alle giurisdizioni della fonte di imporre un’imposta alla fonte limitata su determinati pagamenti intercompany soggetti a un’imposta inferiore a un’aliquota minima.

In proposito, è bene ricordare che i membri dell’IF riconoscono che la STTR è parte integrante del raggiungimento di un consenso sul Pillar Two per i paesi in via di sviluppo. Nello statement concernente la Two-Pillar Solution pubblicato dall’OCSE in data 8 ottobre 2021, si legge che i membri dell’IF che applicano aliquote nominali d’imposta sul reddito delle società inferiori all’aliquota minima STTR a interessi, royalties e una serie definita di altri pagamenti, implementeranno la STTR nei loro trattati bilaterali con i membri dell’IF in via di sviluppo quando richiesto. Il diritto di tassazione sarà limitato alla differenza tra l’aliquota minima e l’aliquota d’imposta sul pagamento. L’aliquota minima per la STTR sarà del 9%.

Anche nel caso del Pillar Two, si prevede che vi saranno alcune esclusioni dall’ambito di applicazione basate sul settore di appartenenza.

Si applicherà anche un test di sostanza, in modo che l’imposta aggiuntiva non venga valutata sul reddito di una controllata a bassa tassazione, nella misura in cui il suo rendimento non superi il 5% dei costi del personale e delle immobilizzazioni materiali. Le norme sono quindi chiaramente mirate alle imprese che ottengono rendimenti eccessivi sui beni immateriali.

 

Lo stato dell’arte

Nell’ambito dei lavori dell’Inclusive Framework dell’OCSE/G20 sul BEPS finalizzati alla attuazione per attuare una soluzione a due pilastri (i.e., Two-Pillar Solution) volta ad affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell’economia, nel corso del mese di dicembre 2022, l’OCSE ha posto in pubblica consultazione i seguenti documenti (https://www.oecd.org/tax/planned-stakeholder-input-in-oecd-tax-matters.htm):

 

a) Pillar One – Amount A: Draft Multilateral Convention Provisions on Digital Services Taxes and Other Relevant Similar Measures. [apertura consultazione 20 dicembre 2022 – scadenza invio commenti: 20 gennaio 2023]

L’Inclusive Framework ha incaricato una apposita task force sull’economia digitale (Task Force on the Digital Economy – TFDE) di portare avanti il lavoro necessario ai fini del design e della implementazione dell’Amount A. In particolare, la TFDE è stata incaricata di sviluppare una c.d. Convenzione Multilaterale (Multilateral Convention – MLC) ed un suo specifico commentario nonché di fornire le indicazioni affinché i singoli Stati possano procedere alla implementazione nelle legislazioni nazionali.

La bozza delle disposizioni relative alla MLC in discussione nel documento (che non riflettono ancora un consenso in merito alla sostanza del documento stesso) riflette l’impegno per l’eliminazione di tutte le attuali Digital Service Tax (DST) e le altre misure analoghe pertinenti e per la sospensione di tali misure in futuro. Questi impegni sono parte essenziale del raggiungimento dell’obiettivo del Pillar One di stabilizzare l’architettura fiscale internazionale.

 

b) Pillar One – Amount B relating to the simplification of transfer pricing rules. [apertura consultazione 8 dicembre 2022 – scadenza invio commenti: 25 gennaio 2023]

Il 14 ottobre 2020, l’Inclusive Framework ha pubblicato il rapporto “Tax Challenges Derive from Digitalisation – Report on Pillar One Blueprint”. Il documento affermava che l’Amount B aveva lo scopo di semplificare il processo di determinazione dei prezzi delle attività di marketing e distribuzione di base conformemente al principio di libera concorrenza, mirando in tal modo a rafforzare la certezza fiscale e a ridurre le controversie ad alta intensità di risorse tra contribuenti e amministrazioni fiscali. Partendo da questo presupposto, attraverso questo nuovo documento sottoposto alla consultazione pubblica, l’IF compie passi avanti nella declinazione dei seguenti aspetti:

(i) quali saranno i criteri definitivi di individuazione dei contribuenti destinati a rientrare nell’ambito di applicazione ai fini dell’Amount B affinché le transazioni controllate accuratamente delineate vengano qualificate come operazioni rilevanti, tenendo debitamente conto di dove qualitativamente è richiesta l’analisi di fatti o circostanze specifiche e dove sono opportune semplificazioni quantitative volte a misurare lo svolgimento di attività specifiche;

(ii) la metodologia di determinazione del prezzo ai fini dell’Amount B e se si debbano applicare eventuali esenzioni;

(iii) quali sono gli strumenti e le vie percorribili per semplificare l’analisi di comparabilità ai fini della determinazione del prezzo nell’ambito dell’Amount B in modo che rimanga allineata sia con le Linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento che con gli obiettivi di fondo dell’Amount B.

 

c) Pillar Two – GloBE Information Return. [apertura consultazione 20 dicembre 2022 – scadenza invio commenti: 3 febbraio 2023]

L’Inclusive Framework on BEPS ha avviato i lavori per lo sviluppo di un GloBE Information Return – GIR (i.e., un dichiarativo delle informazioni rilevanti ai fini GloBE) standardizzato che faciliterà il rispetto e l’amministrazione delle regole GloBE. Ad oggi il lavoro dell’Inclusive Framework, attraverso il documento in parola, si è concentrato principalmente sull’identificazione di una serie completa di dati puntuali per il calcolo del carico fiscale GloBE di una multinazionale.

Per quanto le opinioni e le proposte incluse nel documento in pubblica consultazione non rappresentino posizioni su cui sia già stato trovato consenso tra l’Inclusive Framework, il Comitato per gli affari fiscali (CFA) o i loro organi sussidiari, esse – non di meno – intendono fornire alle parti interessate informazioni e proposte sostanziali per svolgere le dovute analisi e sottoporre commenti.

I dati indicati nell’Allegato A del documento in consultazione sono quelli considerati sufficienti per calcolare il carico fiscale GloBE del gruppo multinazionale e sono ordinati nelle seguenti quattro sezioni:

  • Informazioni generali, che includono informazioni generali sul gruppo multinazionale e sulla constituent entity incaricata della trasmissione della dichiarazione GloBE;
  • Struttura societaria, che include informazioni sulla struttura societaria del gruppo multinazionale, in particolare la struttura proprietaria di ciascuna constituent entity, se è tenuta ad applicare l’IIR e se l’UTPR potrebbe applicarsi in relazione a tale entità, nonché informazioni su modifiche dell’assetto proprietario intervenute nel corso dell’esercizio;
  • Calcolo dell’ETR e calcolo della Top-up tax, che include informazioni sull’aliquota fiscale effettiva e sui calcoli dell’imposta aggiuntiva per quelle giurisdizioni in cui si trovano entità costituenti o membri di gruppi correlati a JV, nonché eventuali scelte effettuate in conformità con le GloBE Rules. Tale sezione andrà ad includere anche procedure semplificate di compliance connesse ai safe harbours che saranno individuati;
  • Allocazione ed attribuzione della Top-up tax, che include informazioni sull’attribuzione di tale imposta aggiuntiva nonché sulle giurisdizioni fiscali che andranno ad implementare tale top-up tax in conformità con e GloBe Rules. La sezione fornisce, inoltre, maggiori dettagli sul calcolo della quota di top-up tax da attribuire a ciascuna società controllante per applicare l’IIR e sul calcolo dell’eventuale importo di tale top-up tax in relazione all’UTPR.

 

d) Pillar Two – Tax Certainty for the GloBE Rules. [apertura consultazione 20 dicembre 2022 – scadenza invio commenti: 3 febbraio 2023]

Il documento in consultazione pubblica riguarda gli aspetti connessi alla certezza fiscale quanto alle regole GloBE: più concretamente, esso delinea vari meccanismi, inclusi quelli finalizzati alla prevenzione (dispute prevention mechanisms) ed alla risoluzione delle controversie (dispute resolution mechanisms). Il documento delinea i prossimi passi previsti in relazione allo sviluppo di tali meccanismi e identifica una serie di aree in cui il contributo di tutte le parti interessate sarebbe prezioso. Infatti, i commenti che saranno inviati aiuteranno i membri dell’Inclusive Framework a completare il lavoro relativo agli aspetti di compliance e coordinamento delle regole GloBE nell’ambito del Pillar Two nel tentativo di garantire risultati coerenti e coordinati per le imprese multinazionali, riducendo al minimo gli oneri di compliance ed evitando il rischio di doppia imposizione.

Infatti, l’approccio condiviso nell’ambito del Pillar Two prevede che le giurisdizioni che desiderano introdurre le GloBE Rules attuino e applichino le proprie norme di diritto interno in modo coerente e coordinato. Nonostante ciò, vi è la concreta possibilità che possano sorgere differenze nell’interpretazione o nell’applicazione di tali regole tra giurisdizioni, le quali potrebbero così dar luogo a esiti divergenti a fronte della applicazione del medesimo set di regole GloBE. Ecco, dunque, che l’Inclusive Framework ha dato avvio a lavori dedicati all’esplorazione di meccanismi per fornire ulteriore certezza fiscale in merito alle regole GloBE.

 

Aspetti operativi: alcune riflessioni

Come sopra anticipato, nel dicembre 2022, l’OCSE ha pubblicato – per pubblica consultazione – un documento sull’Amount B del Pillar One.

Esso consente di formulare alcune riflessioni: in primo luogo, l’Amount B è fondamentalmente un safe harbour per le attività di distribuzione. Infatti, qualora all’interno del gruppo multinazionale vi siano delle entità caratterizzate alla stregua di distributori a rischio limitato (i.e., Limited Risk Distributor – LRD), commissionari o agenti di vendita che vengono retribuiti sulla base del metodo TNMM (Transactional Net Margin Method), allora l’Amount B dovrà essere al centro di attente analisi e valutazioni anche in considerazione dell’intera supply chain in cui tale entità con profilo operativo e di rischio routinario si trova ad agire.

Trattandosi di una misura di semplificazione, si può in sostanza pensare all’Amount B come a un margine fisso da riconoscere alla entità distributrice, ad esempio quale redditività sulle vendite (Return on Sales – ROS) in caso di LRD.

Emergono così ulteriori aspetti connessi ai meccanismi di semplificazione del transfer pricing:

  • l’Amount B si applicherà solo ai beni materiali. Le prestazioni di servizi e gli IP non saranno quindi interessati. L’OCSE sta altresì considerando di escludere le operazioni aventi ad oggetto la cessione di materie prime, dove il CUP si rivela tipicamente il metodo più appropriato. Sono, tuttavia, attese ulteriori considerazioni sul punto;
  • il contratto scritto dovrebbe diventare la regola: si avrebbe così modo di disegnare in modo chiaro e puntuale tutte le condizioni della transazione che vanno a qualificare l’entità come soggetto a funzioni routinarie e rischio limitato;
  • l’entità sarà chiamata a condurre le proprie attività distributive principalmente nel mercato di sua residenza (la distribuzione transfrontaliera non dovrà superare una certa soglia). Anche in questo caso, gli aspetti da prendere in considerazione sono innumerevoli e il dibattito è lontano dall’essere giunto a conclusione;
  • un profilo funzionale routinario che consenta l’adozione di un approccio semplificato comporta sostanzialmente che l’entità non svolga attività non-correlate a quella strettamente commerciale, quali – ad esempio – attività di R&S, appalti, finanziamenti;
  • l’entità non deve svolgere alcuna “funzione di controllo del rischio“, che comporti l’assunzione di rischi economicamente significativi associati alle DEMPE functions (Development, Enhancement, Maintenance, Protection and Exploitation);
  • l’entità non deve svolgere attività strategiche che porterebbero alla creazione di beni immateriali unici;
  • l’Amount B non si applica nel caso in cui il rapporto di distribuzione in esame sia già coperto da un APA bilaterale/multilaterale.

Tali riflessioni, in realtà, ne suscitano immediatamente altre, connesse – ad esempio – a situazioni in cui l’entità che svolge attività di distribuzione a rischio limitato ne conduca in parallelo anche altre, quali – solo per citarne alcune – produzione in conto terzi per altre consociate (e, dunque, sempre con profilo funzionale e di rischio “snello”), la prestazione di servizi di R&S per conto di altre entità del gruppo (c.d., contract R&D service provider) nonché commercio al dettaglio in misura così rilevante che si possa presumere lo svolgimento di funzioni DEMPE ed addirittura la creazione di IP (commerciali).

Non resterà, quindi, che attendere gli sviluppi di questa fase di design delle disposizioni di riferimento per la determinazione dell’Amount B per continuare a monitorarne non soltanto le implicazioni pratiche sugli attuali modelli di business dei gruppi multinazionali bensì anche le possibili evoluzioni future della convergenza internazionale su altre fattispecie come quelle appena sopra citate.

Si deve poi aggiungere che, come attività necessaria all’implementazione, l’OCSE sta svolgendo un importante esercizio di benchmarking attraverso appositi data base (Moody’s BvD Orbis) e considerando due approcci per determinare i margini di safe harbour:

  • Pricing matrix approach: l’output derivante dall’utilizzo di criteri comuni di ricerca per l’analisi comparativa può essere presentato sottoforma di una matrice dei risultati dei prezzi di libera concorrenza in cui le entità di commercializzazione e distribuzione comparabili verrebbero raggruppate in sottoinsiemi in base alle loro caratteristiche economiche rilevanti;
  • Mechanical pricing tool approach: L’IF continua a identificare e testare i fattori trainanti del profitto con modelli econometrici. Se il lavoro per identificare relazioni statisticamente significative tra alcune caratteristiche del distributore e la redditività procedesse, potrebbe essere possibile la costruzione di un metodo alternativo di tipo “meccanico” di fissazione dei prezzi. Questo approccio consentirebbe una “traduzione” dei dati sottostanti derivati in base ai criteri di ricerca di benchmarking comuni in strumenti meccanici di determinazione dei prezzi come una formula o una serie di aggiustamenti quantitativi, per derivare in modo affidabile tassi di profittabilità in condizioni di libera concorrenza, adattati alle caratteristiche economicamente rilevanti della società sottoposta ad analisi (tested party).

Gli indicatori di profitto (Profit Level Indicator – PLI) presi in esame sono:

  • Berry Ratio;
  • Return on Sales con Berry Ratio come secondario;
  • Return on Assets (ROA);
  • Combinazioni dei precedenti.

Da ultimo, sarà altresì importante vedere quali considerazioni verranno formulate in merito all’intervallo di valori (range), che potrebbe risultare in ultima istanza più ristretto dell’interquartile range.

 

Il punto di vista dell’OCSE

Secondo la nuova analisi dell’OCSE pubblicata il 18 gennaio 2023, le entrate derivanti dall’attuazione dell’accordo di riforma del sistema fiscale internazionale saranno superiori a quanto previsto in precedenza.

La soluzione a due pilastri (c.d. Pillar One e Pillar Two) per affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione dell’economia porterà a ulteriori diritti di tassazione per le giurisdizioni ove avviene la commercializzazione dei prodotti oppure ove sono ubicati gli utenti (c.d., market jurisdictions) e porrà un limite alla concorrenza fiscale attraverso la creazione di un’aliquota globale minima effettiva del 15% per quanto concerne l’imposta sul reddito delle società.

Si prevede ora che la tassa minima globale proposta comporterà un aumento delle entrate globali annuali di circa 220 miliardi di dollari, ovvero il 9% delle entrate fiscali globali sul reddito delle società. Si tratta di un aumento significativo rispetto alla precedente stima dell’OCSE di 150 miliardi di dollari di entrate fiscali annuali aggiuntive attribuite alla componente fiscale minima del secondo pilastro.

Il Pillar One, progettato per garantire una distribuzione più equa dei diritti di tassazione tra le giurisdizioni sulle imprese multinazionali (MNE) più grandi e redditizie, dovrebbe ora assegnare diritti di tassazione su circa 200 miliardi di dollari di profitti alle giurisdizioni di mercato all’anno. Ciò dovrebbe portare ad incrementi annuali di entrate fiscali globali comprese tra 13 e 36 miliardi di dollari, sulla base dei dati del 2021.

Le nuove stime riflettono un aumento significativo rispetto ai 125 miliardi di dollari di utili delle stime precedenti. L’analisi rileva che i Paesi a basso e medio reddito dovrebbero guadagnare di più come quota delle entrate fiscali esistenti sul reddito delle società.

“La comunità internazionale ha compiuto progressi significativi verso l’attuazione di queste riforme, che sono progettate per rendere le nostre disposizioni fiscali internazionali più eque e funzionare meglio in un’economia mondiale digitalizzata e globalizzata”, ha affermato il segretario generale dell’OCSE Mathias Cormann. “Questa nuova analisi dell’impatto economico sottolinea ancora una volta l’importanza di un’attuazione rapida, efficiente e diffusa di queste riforme per garantire che questi significativi guadagni potenziali di entrate possano essere realizzati. L’implementazione diffusa aiuterà anche a stabilizzare il sistema fiscale internazionale, migliorare la certezza fiscale ed evitare la proliferazione di tasse unilaterali sui servizi digitali e le relative controversie fiscali e commerciali, che sarebbero dannose per l’economia globale e le economie di tutto il mondo”.

Le nuove stime sull’impatto economico della soluzione a due pilastri si basano su dati aggiornati e incorporano la maggior parte delle caratteristiche progettuali recentemente concordate incluse nell’Amount A Progress Report e nelle GloBE Model Rules, molte delle quali non sono state prese in considerazione in altri studi.

L’aggiornamento delle precedenti valutazioni dell’OCSE, compresa la sua valutazione dettagliata dell’impatto economico pubblicata nell’ottobre 2020, mostra che le entrate previste nell’ambito del primo pilastro sono aumentate e continuano ad aumentare nel tempo, a causa sia delle revisioni della struttura della riforma fiscale sia dell’aumento redditività delle imprese multinazionali rientranti nell’ambito di applicazione. Mostra anche un aumento delle entrate previste dal secondo pilastro, che riflette alcuni aumenti del profitto globale a bassa tassazione, anche a seguito di una migliore copertura dei dati.

 

Considerazioni finali

Sebbene le norme siano complesse e si applichino solo alle più grandi imprese multinazionali, l’accordo raggiunto sull’ impianto del Pillar Two da parte dell’Inclusive Framework rappresenta un enorme passo avanti ed ha fatto altresì da stimolo per l’accelerazione dei lavori del Pillar One.

La maggiore attenzione alla cooperazione globale tra le autorità fiscali per affrontare le questioni relative al BEPS è una tendenza chiara ed irreversibile e le imprese dovrebbero essere sempre più attente a garantire che la tassazione sia allineata alla sostanza delle loro operazioni.

In parallelo ai lavori condotti in sede OCSE, è sicuramente da ricordare anche lo sforzo condotto dalla Unione Europea: infatti, in data 14 dicembre 2022, il Consiglio dell’UE ha approvato il testo di Direttiva sulla Minimum Tax (Dir. 2022/2523/UE) che è in sostanza allineato a quello delle GloBE Model Rules del Pillar Two (seppur con alcune differenziazioni dovute ai principi della normativa europea). La Direttiva si applicherà a tutti i grandi gruppi, sia domestici sia internazionali, con controllante o entità controllate nella UE.

Quanto alla tempistica, la Direttiva è stata pubblicata sulla Gazzetta dell’Unione in data 22 dicembre 2022 ed è quindi entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione (i.e., 23 dicembre 2022) e dovrà essere attuata dagli Stati Membri entro il 31 dicembre 2023, tramite appositi provvedimenti legislativi che dovranno essere comunicati alla Commissione UE (art. 56). I meccanismi di funzionamento che essa prevede per l’implementazione delle disposizioni (l’Income Inclusion Rule – IIR e l’Undertaxed Profit Rule – UTPR)  troveranno applicazione progressiva in due momenti differenti, l’IIR dagli esercizi fiscali che inizieranno a partire dal 31 dicembre 2023 e l’UTPR da quelli che inizieranno dal 31 dicembre 2024. Ulteriori dettagli sono forniti nell’art. 49 della Direttiva.

A tale tempistica, si aggiunge poi la previsione (articolo 50) che gli Stati membri in cui sono localizzate non più di dodici entità controllanti capogruppo di gruppi che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva possono scegliere di non applicare l’IIR e l’UTPR per sei esercizi finanziari consecutivi che iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2023. Gli Stati membri che effettuano tale scelta ne informano la Commissione entro il 31 dicembre 2023.

Si pongono, dunque, potenziali criticità connesse alle differenze in alcune disposizioni tra i due impianti (i.e., quello OCSE e quello UE) nonché ai diversi tempi di implementazione delle discipline: gli organismi sovranazionali, i singoli Stati, le amministrazioni finanziarie ed i gruppi multinazionali saranno quindi chiamati – ciascuno in base al proprio “ruolo” in questo complesso scenario – a dare un contributo costruttivo e di ampia collaborazione per consentire una transizione dal vecchio al nuovo impianto dei principi fondanti della fiscalità internazionale.

Lo scenario, poi, si complica ulteriormente nel momento in cui, a questo complesso intreccio di norme, si vanno ad aggiungere le azioni – che in parte sono già state prese e che per altra parte saranno adottate nel prossimo futuro – di quei Paesi che hanno un ruolo cruciale sui flussi economico-finanziari mondiali, quali ad esempio Stati Uniti d’America, India e Cina.

Pertanto, risulta strategico partire dagli strumenti fondamentali: disporre di adeguate politiche di transfer pricing e documentazione sui prezzi di trasferimento non è mai stato così importante, in particolare alla luce dell’aumento del rischio di contestazione da parte delle autorità fiscali a seguito della perdita di entrate dovuta alla pandemia da un lato ed ai possibili scenari di recessione dall’altro.

A dieci anni dall’avvio del Progetto BEPS, è possibile riconoscere – in una visione unitaria che collega lavori passati ed evoluzioni future – un filo rosso che lega la TP documentation, il Country By Country Reporting e la Two-Pillar Solution, tra aspetti fiscali e dinamiche operative: ecco dunque che l’armonizzazione delle best practices internazionali e la condivisione dei principi fondanti della fiscalità internazionale impongono definitivamente agli organi di gestione dei gruppi multinazionali la necessità di una visione complessiva della supply chain che sappia coniugare un livello “macro” di gruppo con le istanze domestiche delle singole countries. Ad esse si deve necessariamente accompagnare altresì una gestione proattiva delle dinamiche di sviluppo del business ed una sempre maggiore trasparenza e collaborazione nei rapporti con le singole amministrazioni finanziarie.

La maturazione di una tale cultura manageriale è fondamentale non soltanto nelle realtà multinazionali di grandi dimensioni (i.e., fatturato consolidato superiore a EUR 750 milioni), bensì anche in quei gruppi che si apprestano a vivere un importante sviluppo dimensionale e che nei prossimi 3-4 anni prevedono di oltrepassare – ad esempio – la soglia del Pillar Two: questi ultimi dovranno sin d’ora iniziare a dedicare risorse al design ed alla implementazione di strutture interne (tax control framework e risk management procedures) in grado di far fronte agli impegni che le previsioni del Pillar Two (ed eventualmente anche del Pillar One in futuro) imporranno loro.