L’omessa dichiarazione Iva non incide sullo status di esportatore abituale
di Marco PeiroloIl contribuente che ha dimostrato la sussistenza dei requisiti sostanziali per ottenere lo status di esportatore abituale ha diritto all’applicazione del regime della sospensione dell’Iva di cui all’articolo 8, comma 1, lett. c), D.P.R. 633/1972, nei limiti del plafond relativo all’anno precedente, anche se ha omesso di presentare la dichiarazione Iva relativa a tale anno.
È il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14190 del 24.05.2019.
In sostanza, l’omessa presentazione della dichiarazione Iva non esclude la sussistenza della qualifica di esportatore abituale ed il diritto di quest’ultimo di avvalersi della sospensione d’imposta nei limiti del plafond disponibile.
Tale diritto, infatti, si desume dal comportamento concreto del contribuente, che acquisisce lo status di esportatore abituale, con riferimento ad un determinato anno, se ha effettuato operazioni con l’estero per un importo superiore al 10% del volume d’affari, calcolato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lett. a), D.L. 746/1983.
Laddove, pertanto, tale condizione sia soddisfatta, gli acquisti e le importazioni possono essere effettuati senza applicazione dell’Iva nei limiti del plafond, cioè dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle operazioni con l’estero dell’anno precedente.
La rilevanza del comportamento concludente era già stata valorizzata dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 9028 del 09.04.2011, negando che il diritto di acquistare beni/servizi senza Iva possa essere precluso all’esportatore abituale che abbia omesso di compilare il quadro VC, nella specie non comunicando la scelta del regime del plafond mobile.
Di diverso avviso la prassi amministrativa, secondo cui, ai fini dell’opzione per l’utilizzo di un sistema piuttosto che l’altro, vale il “comportamento attivo” del contribuente, confermato, in sede di dichiarazione Iva, dalla compilazione dell’apposito quadro destinato agli esportatori abituali, contenente una casella da barrare allo scopo di indicare il metodo utilizzato (circolare dell’Agenzia delle Dogane 27.02.2003, n. 8, § 4).
Per la giurisprudenza, rileva esclusivamente il comportamento concludente dell’operatore, che deve intendersi ammesso ad esercitare le opzioni relative al regime dell’Iva qualora la contabilità obbligatoria sia adeguatamente uniformata al regime scelto.
Contano, pertanto, le condizioni sostanziali per l’acquisto senza applicazione dell’imposta, vale a dire la qualifica di esportatore abituale, collegata all’effettuazione di operazioni con l’estero, e l’esistenza di un plafond disponibile. Anche la comunicazione dei dati della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate dovrebbe avere rilevanza sostanziale, ma si segnala la posizione contraria della giurisprudenza (Cass., n. 9586 del 05.04.2019).
La prevalenza della sostanza sulla forma è stata riconosciuta anche dalla sentenza n. 19366 del 20.07.2018, con la quale la Suprema Corte ha esaminato gli effetti dell’omessa comunicazione all’Agenzia delle Entrate del trasferimento del plafond in caso di affitto d’azienda.
Tale omissione comporta la violazione dell’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972, ma per i giudici di legittimità all’affittuario non può essere precluso il beneficio collegato al plafond, in assenza di un danno erariale e della circostanza che, nel caso di specie, il contratto di affitto d’azienda, contenente la clausola di trasferimento del plafond, era stato regolarmente registrato, cosicché l’Amministrazione finanziaria risultava in possesso di tutti i dati necessari per una concreta ed effettiva attività di controllo.
Benché non puntualizzato, tale ultima condizione è coerente con le indicazioni offerte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui l’Autorità fiscale, se è già in possesso delle informazioni necessarie per dimostrare lo specifico diritto che l’operatore intende far valere (es. quello alla detrazione dell’Iva), non può imporre, riguardo al medesimo diritto, condizioni supplementari che possano avere l’effetto di vanificarne l’esercizio (sent. 22 dicembre 2010, causa C-438/09, Dankowski; sent. 8 maggio 2008, cause riunite C‑95/07 e C‑96/07, Ecotrade; sent. 30 settembre 2010, causa C‑392/09, Uszodaépítő).
Anche su questo aspetto, riguardante l’affitto d’azienda, la posizione della Suprema Corte supera quella della prassi amministrativa.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella risposta del 27 gennaio 2010 all’interrogazione parlamentare n. 5-02385, dopo avere ricordato che “l’acquisizione a titolo derivativo del diritto di utilizzazione del plafond giustifica la previsione di una serie di adempimenti puntuali e specifici per la trasferibilità del diritto in questione”, ha precisato che la norma in questione “non richiede che nel contratto d’affitto sia espressamente indicata la trasmissione in capo all’affittuario di tutti i rapporti con la clientela o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie e debitorie relative all’azienda affittata, tra le quali può farsi rientrare in senso lato il diritto all’utilizzazione del plafond”.
In conclusione, secondo l’Agenzia delle Entrate, “qualora ricorrano astrattamente i presupposti richiesti dalla norma ed i contribuenti provvedano puntualmente ad espletare gli adempimenti dalla stessa enucleati (espressa previsione nel contratto di affitto e comunicazione in terminis all’ufficio competente), l’affittuario può, in linea di principio, utilizzare il plafond maturato dall’affittante. Tuttavia, resta impregiudicata la possibilità di contestare eventuali profili elusivi connessi all’operazione di affitto di azienda in relazione al trasferimento e all’utilizzo del plafond, specie in situazioni peculiari quali quelle in cui il contratto di affitto dell’azienda non prevede il trasferimento dei rapporti con la clientela”.
Dalla risposta fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze risulta chiaro che la comunicazione da rendere nel modello AA7/10 o AA9/11 assume portata sostanziale, cioè costitutiva del diritto di avvalersi del plafond in precedenza maturato in capo all’affittante, in contrasto però con la posizione della giurisprudenza.