26 Settembre 2013

L’omessa dichiarazione non fa perdere il credito Iva

di Leonardo Pietrobon
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Una questione che si ripete spesso e mal volentieri. Questo potrebbe essere l’assunto di ciò che determina l’omessa presentazione della dichiarazione Iva e l’utilizzo in compensazione dell’eventuale credito annuale. Su tale problematica l’Agenzia delle Entrate, nel corso degli anni, ha mutato opinione in più di un’occasione (sul punto si vedano la Risoluzione n. 74/E/2007 e le Circolari n. 34/E/2012 e n. 21/E/2013), mentre la Corte di Cassazione ha mantenuto un’impostazione abbastanza costante e favorevole al contribuente “sbadato”.

 

Il riconoscimento del credito
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11671 del 15/5/2013, ha affrontato per “l’ennesima” volta la problematica concernente il mancato riconoscimento di un credito Iva maturato in un anno in cui è stata omessa la presentazione della dichiarazione annuale, ripercorrendo alcune delle pronunce più significative e, soprattutto, le disposizioni nazionali e di rango comunitario.
Nella citata sentenza, accogliendo le doglianze della società ricorrente, la Corte di Cassazione ha esordito affermando il concetto sopra espresso, secondo cui “la mancata esposizione del credito Iva nella dichiarazione annuale non comporta la decadenza dal diritto di far valere tale credito purché lo stesso emerga dalle scritture contabili”.
Tale conclusione, a detta della Cassazione, è la corretta interpretazione dell’art.18 della Direttiva CE n. 77/388/CE, il quale subordina il diritto alla detrazione dell’Iva solamente al possesso della fattura, compilata secondo le disposizioni a essa applicabili. Tale soluzione, prosegue la Cassazione, è l’unica per garantire il principio di neutralità dell’imposta in questione, quale principio fondamentale sul quale poggia l’intero impianto normativo dell’Iva. A parere della Cassazione la necessità di rispettare il citato principio di neutralità, infatti, deve essere garantito anche nel caso in cui il soggetto passivo non rispetti le formalità imposte da uno Stato membro, quale ad esempio la presentazione della dichiarazione annuale Iva.
La sentenza in commento, a supporto di quanto affermato, richiama peraltro una precedente decisione della Suprema Corte , la sentenza n. 6925 del 20/3/2013, con la quale, citando i concetti espressi dalla Corte di Giustizia CE cause C-95/07 e C-96/07 del 8/5/2008, afferma ancora che “ai sensi degli artt. 18, n. 1, lett. d) e 22 della sesta direttiva CE n. 77/388, come modificata dalla direttiva 2000/17 (…) il principio della neutralità fiscale impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno stato membro, in applicazione delle disposizioni comunitarie succitate, non può privarlo del suo diritto alla detrazione, mediante annotazione a credito nella dichiarazione di imposta, ferma restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tali obblighi”.
Il presupposto dell’esistenza del documento contabile costituito dalla fattura, quale unico elemento sufficiente per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva, è stato stabilito in modo chiaro ancora dalla stessa Corte con la sentenza n. 19529 del 23.9.2011, la quale ha affermato che “non v’è perdita del credito d’imposta nel caso in cui il contribuente, che abbia regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca per lui il credito e operato la relativa detrazione nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la dichiarazione annuale”. Tale conclusione è la diretta conseguenza della considerazione espressa dalla stessa Cassazione, secondo cui “gli altri adempimenti formali sono dettati unicamente per esigenze riguardanti l’accertamento del tributo, senza intaccare sul piano fiscale sostanziale il credito del contribuente”.
Il regime sanzionatorio
La sentenza n. 6925/2013, indirettamente, mette in evidenza il regime sanzionatorio, applicabile in caso di “inosservanza” dell’obbligo di presentare il modello dichiarativo. Dal punto di vista normativo tale “inadempimento” è disciplinato dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 471/1997, secondo cui è prevista una sanzione da un minimo del 120% ad un massimo del 240% del tributo dovuto. Lo stesso dettato normativo a tal proposito stabilisce che “per determinare l’imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell’anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso, nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite”. Tuttavia, appare logico concludere che se, dalla “riliquidazione” della dichiarazione omessa, emerge un credito d’imposta e, quindi, non sussiste alcun debito tributario ai fini IVA al quale commisurare la sanzione, il citato regime sanzionatorio (120%-240% del tributo dovuto) non può trovare applicazione. Resta quindi applicabile esclusivamente l’ultimo periodo del comma 1, dell’art. 5 del D.Lgs. 471/1997, secondo cui, la sanzione non può essere comunque inferiore ad € 258,00.
In conclusione, anche la soluzione prospettata dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 21/E/2013, secondo cui “il contribuente che ha riportato un credito Iva, derivante da una dichiarazione omessa, ed ha utilizzato lo stesso in compensazione è tenuto al versamento degli interessi di mora per l’omesso versamento delle imposte, nonché della sanzione nella misura del 40% di quella originariamente applicata ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. n. 471/1997” (sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato) appare del tutto inadeguata.