23 Gennaio 2015

L’omessa iscrizione di un ricavo causa nullità del bilancio

di Fabio Landuzzi
Scarica in PDF
La sentenza della
Corte di Cassazione n. 26748 depositata il
18.12.2014 ha trattato di un controverso caso di
impugnazione di una delibera di approvazione del bilancio d’esercizio da parte dei soci di minoranza della società i quali ritenevano, fondatamente secondo il giudizio della Suprema Corte, di essere stati lesi nei loro diritti patrimoniali per effetto della
mancata iscrizione nel bilancio d’esercizio di un
componente positivo di reddito, così che il bilancio stesso aveva chiuso con una ingente perdita che aveva obbligato all’abbattimento ed alla successiva ricostituzione del capitale sociale.
Il caso trae origine dalla impugnazione della delibera di approvazione del bilancio annuale da parte dei soci di minoranza; la delibera aveva disposto
l’abbattimento del capitale a causa della perdita realizzata e la sua
ricostituzione mediante offerta in opzione a tutti i soci. In particolare, gli impugnanti sostenevano che il capitale era stato solo pretestuosamente perduto in quanto il deficit esposto in bilancio era determinato dalla
rilevazione dei costi per imposte e sanzioni dovute dalla società all’Erario a causa di vendite di beni in nero realizzate da un amministratore all’insaputa della società stessa e dei cui
proventi l’amministratore si era quindi
appropriato. Così, se da una parte l’iscrizione di questi oneri straordinari nel bilancio d’esercizio era senza dubbio corretta, altrettanto, secondo i soci di minoranza, non poteva dirsi circa il fatto di
non avere corrispondentemente
rilevato nel bilancio anche
il ricavo spettante alla società quale
risarcimento del danno subito dall’amministratore infedele. L’imputazione del ricavo risarcitorio avrebbe infatti sterilizzato l’effetto dell’onere straordinario ed evitato l’abbattimento del capitale a causa della perdita d’esercizio.
Al di là degli aspetti squisitamente societari, la sentenza desta interesse per quanto attiene il tema spesso controverso della corretta individuazione del
momento di iscrizione in bilancio dei componenti positivi di reddito. Infatti, l’art. 2423-
bis, Cod. Civ., nel rispetto del
principio della prudenza, impone che in bilancio siano indicati solo gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio; inoltre, quanto alla valutazione del credito, l’art. 2426, n. 8), Cod. Civ., prevede che
i crediti debbano iscritti al loro
presumibile valore di realizzo.
Secondo una stringente applicazione di questi principi, quindi, la società avrebbe rilevato la
sopravvenienza attiva riferita al risarcimento dovuto dall’amministratore infedele solo una volta che essa avesse avuto il titolo ed il credito relativo fosse risultato esigibile e riscuotibile in concreto.
La
Cassazione ha invece
accolto le doglianze dei soci di minoranza accertando la fondatezza delle loro ragioni. In particolare, la Suprema Corte ha condiviso l’esigenza di creare un
parallelismo fra il debito verso l’Erario (ed il relativo onere)
ed il credito da risarcimento verso l’amministratore infedele (ed il relativo provento), in quanto il fatto generatore era il medesimo. A questo proposito, sono stati
valutati diversi elementi probatori, fra cui quelli tratti dal procedimento penale acceso nei confronti dell’amministratore e quelli tratti dall’attività del commissario giudiziale nominato ex art. 2409 Cod. Civ..
La Cassazione ha quindi escluso che il credito risarcitorio vantato dalla società potesse qualificarsi come solamente
sperato o
potenziale e quindi ha ritenuto che lo stesso dovesse essere iscritto nello stesso bilancio d’esercizio in cui era stato rilevato il debito verso l’Erario, quand’anche non sussistesse ancora un
titolo giudiziale definitivo avverso l’amministratore infedele.
Anche con riguardo alla valutazione di questo credito – al valore di presumibile realizzazione – la Cassazione ritiene che sulla base della
concreta realizzabilità della posta, del suo
grado di certezza e liquidità, considerata la dotazione patrimoniale accertata in capo all’amministratore infedele, vi fossero elementi sufficienti per l’iscrizione in bilancio al valore pieno.
Le sentenza in commento sembra quindi privilegiare la ricerca della
correlazione costi – ricavi nella predisposizione del bilancio d’esercizio, ogni qualvolta vi siano le
condizioni sostanziali sufficienti alla rilevazione del costo in corrispondenza del correlato ricavo, superando anche la temporanea assenza, come nel caso di specie, del titolo giuridico definitivo.
 
Per approfondire le problematiche dei principi di redazione del bilancio ti raccomandiamo questo master di specializzazione: