27 Dicembre 2021

L’omessa istituzione delle scritture contabili non integra il reato

di Marco Bargagli
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

Tra i poteri riservati al Fisco nel corso di una verifica fiscale rientrano quelli di acquisizione della contabilità del soggetto passivo, tenuto conto che la disponibilità di un idoneo set documentale consente agli organi dell’Amministrazione finanziaria di ricostruire la reale capacità contributiva del contribuente ispezionato.

Per espressa disposizione normativa (articolo 52 D.P.R. 633/1972):

  • gli impiegati dell’Amministrazione finanziaria, muniti di ordine di accesso o foglio di servizio, possono accedere all’interno dei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici previsti dalla Legge (D.Lgs. 460/1997), per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni;
  • i libri, i registri, le scritture ed i documenti di cui viene rifiutata l’esibizione, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa;
  • per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi all’ispezione.

Ciò detto, giova ricordare che l’articolo 14 D.P.R. 600/1973 prevede l’istituzione delle scritture contabili delle imprese commerciali, delle società e degli enti equiparati.

A titolo esemplificativo, al momento dell’accesso saranno richiesti i libri, registri scritture e documenti la cui tenuta e conservazione è obbligatoria in base alle disposizioni normative, come di seguito indicato:

  • libro giornale e il libro degli inventari;
  • registri Iva delle vendite e degli acquisti;
  • scritture ausiliarie di magazzino;
  • registro dei cespiti ammortizzabili;
  • bilancio d’esercizio e relativi allegati;
  • dichiarazione dei redditi.

Qualora il contribuente non esibisca ai verificatori le prescritte scritture contabili obbligatorie, in quanto distrutte o occultate, si rendono applicabili specifiche sanzioni penali tributarie (ex articolo 10 D.Lgs. 74/2000).

La norma incriminatrice, rubricata “occultamento o distruzione di documenti contabili”), prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

A questo punto, occorre domandarci se la semplice “omessa istituzione della contabilità” possa integrare il reato in rassegna, valutando attentamente il dolo specifico richiesto dalla norma.

Infatti, come noto, la condotta delittuosa posta in essere ha il precipuo scopo di ostacolare l’accertamento tributario.

Sullo specifico tema la suprema Corte di cassazione, sezione 3^ Penale, con la sentenza n. 39350/2021 datata 08.09.2021 ha tracciato gli elementi distintivi del reato de quo.

Nel corso del giudizio di merito, con particolare riferimento all’elemento soggettivo, il giudice – soprattutto in ordine alla mancata presentazione delle dichiarazioni annuali – ha affermato come fosse “del tutto evidente che l’occultamento delle fatture e degli altri documenti contabili aveva come unico scopo quello di ostacolare la ricostruzione degli elementi positivi di reddito da sottoporre a tassazione”.

Anche la giurisprudenza di legittimità in tema di reati tributari ha affermato che l’accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all’articolo 10 D.Lgs. 74/2000 presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari che può desumersi, anche in base a norme di comune esperienza, dal fatto che il soggetto agente sia titolare di un’attività commerciale.

Coerentemente con il dettato normativo, la condotta punibile consiste nella distruzione o nell’occultamento totale o parziale delle scritture contabili.

Sul punto, gli Ermellini hanno precisato che:

  • la distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell’eliminazione della documentazione, la quale può consistere nella eliminazione del supporto cartaceo, ovvero mediante cancellature o abrasioni;
  • l’occultamento consiste invece nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori e si realizza mediante il nascondimento materiale del documento.

Quindi, nell’occultamento viene a realizzarsi il comportamento di colui che nasconde materialmente, in tutto o in parte, le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari.

In definitiva l’occultamento, a differenza della distruzione, dà luogo ad un reato permanente perché l’obbligo di esibizione perdura finché è consentito il controllo fiscale, con la conseguenza che la condotta antigiuridica si protrae nel tempo a discrezione del reo il quale, a differenza della distruzione, ha il potere di far cessare l’occultamento esibendo i documenti.

La suprema Corte di cassazione, con un orientamento più risalente nel tempo, aveva dapprima affermato che la condotta idonea ad integrare il reato previsto dall’articolo 10 D.Lgs. 74/2000 non sarebbe solamente quella volta alla evasione delle imposte dirette o sul valore aggiunto consistente nell’occultare o distruggere le scritture contabili ma anche la condotta di chi, con il medesimo fine, si limiti ad omettere la tenuta della documentazione contabile.

In tale ipotesi, infatti, si realizza la semplice difficoltà di ricostruzione del volume degli affari e dei redditi derivante dall’omessa istituzione delle scritture contabili.

Più di recente gli Ermellini hanno espresso un altro orientamento, in base al quale la condotta del reato richiede un comportamento attivo e commissivo di distruzione o occultamento dei documenti contabili, la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per Legge.

Tutto ciò premesso, nel caso esaminato dai giudici di piazza Cavour, la prova della sussistenza del dolo di evasione è stata desunta, in modo logico, dal fatto che l’evidente finalità del meccanismo fraudolento di cui il contribuente era partecipe, compreso l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili e dei documenti fiscali, era quello di impedire la ricostruzione degli effettivi redditi e del volume d’affari dell’impresa, allo scopo di occultare il complesso meccanismo strumentale all’evasione fiscale, realizzando così il dolo di evasione richiesto per la configurabilità del reato.