L’onere della prova in materia di fatture per operazioni inesistenti
di Luigi Ferrajoli
L’onere della prova nel caso di fatture per operazioni inesistenti incombe sull’Amministrazione finanziaria per ciò che attiene alla dimostrazione del fatto storico dell’inesistenza, ossia al fatto che le operazioni contestate non siano mai state compiute. Tale principio è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in diverse pronunce, da ultimo con la recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 27840 del 12/12/2013 della sezione V.
Nella vicenda in esame, l’Agenzia delle entrate di Roma aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società con cui aveva tra l’altro disposto la ripresa a tassazione di tributi IRPEG e ILOR per utili derivanti da fatture – rilasciate dalla contribuente ad una società controllata – per operazioni inesistenti.
Il ricorso proposto dalla società contribuente era stato accolto in primo grado, con decisione confermata in appello: in particolare, secondo la CTR, le fatture emesse dalla capogruppo erano state ritenute non valide senza un’esauriente motivazione da parte degli organi ispettivi.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando che la valorizzata esistenza, da parte della CTR, di un gruppo societario al cui interno operavano la contribuente quale capogruppo e la controllata era di scarso valore probatorio, potendosi anzi ritenere che proprio la presenza di rapporti di gruppo potesse favorire scambi interni a fini evasivi; inoltre, secondo l’Ufficio, la CTR aveva omesso di prendere in considerazione gli elementi indicati a sostegno dell’inesistenza delle operazioni e la decisione impugnata era pertanto lacunosa ed illogica nella parte in cui aveva escluso la falsità delle operazioni, anche a volere ritenere che incombesse sull’Ufficio la prova di siffatta inesistenza.
La Corte di Cassazione ritiene fondato il ricorso dell’Agenzia in quanto la sentenza di appello risultava carente nella motivazione nella parte in cui effettivamente eccedeva nella svalutazione del compendio indiziario fornito dall’Ufficio senza una sua analitica considerazione, a fronte di una fin troppo ampia considerazione di elementi in favore della contribuente, alcuni dei quali privi di reale e giuridico peso.
La pronuncia in commento risulta particolarmente significativa in quanto la Cassazione analizza sinteticamente i principi ormai consolidati in tema dell’onere della prova nelle ipotesi di fatture per operazioni inesistenti.
Sul punto la Suprema Corte ribadisce che, in caso di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva. Secondo i giudici di legittimità, la tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti nella dichiarazione fiscale, non onera, infatti, il predetto anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale. Incombe, invece, sull’amministrazione che adduce la falsità del documento e, quindi, l’inesistenza di un maggiore imponibile l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere.
Tale prova è raggiunta dall’Amministrazione allorché questa fornisca oggettivi elementi per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, prova che può essere data anche attraverso “i verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti” in possesso dell’Ufficio (si veda sul punto la sentenza della Cassazione n. 9108/2012).
Il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla fondatezza dell’atto impositivo, è quindi tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e 2697 Cod. Civ.