6 Febbraio 2020

L’onere della prova nella contestazione di indeducibilità dei costi

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nell’ambito dell’accertamento tributario un posto senza dubbio rilevante lo assumono le contestazioni degli Uffici fiscali aventi per oggetto gli elementi passivi che concorrono a determinare l’imposta dovuta, sia, ai fini Iva, in relazione al regime di detrazione dell’imposta pagata ai fornitori, sia, ai fini delle imposte dirette, in ragione della deduzione dei costi per la determinazione dei redditi di impresa o di lavoro autonomo.

La questione principale che si pone è come si ripartiscono oneri e doveri rispetto all’accertamento di una evasione che si realizza nelle voci passive del reddito.

L’orientamento tradizionale, anche della giurisprudenza, riconosce che i fatti la cui sussistenza concorre a ridurre il carico imponibile dovrebbero essere provati dal contribuente, si tratti di deduzioni dall’imponibile, ovvero di detrazione dall’imposta.

Intesa in termini letterali e rigorosi, l’affermazione secondo cui l’onere della prova degli elementi passivi incombe sul contribuente potrebbe determinare un eccesso, in quanto potrebbe significare che se il fatto non risulta positivamente provato, egli ne è pregiudicato (e la detrazione o deduzione non può essere riconosciuta).

Poiché l’onere della prova concerne solo i fatti bisognosi di prova perché contestati, l’effetto pratico di tale orientamento, se inteso alla lettera, sarebbe che, a fronte della contestazione dell’Ufficio delle operazioni passive o il contribuente prova l’effettiva sussistenza o la reale portata di esse, o le deduzioni e detrazioni non sono riconosciute.

Il problema che si pone è eminentemente pratico: le operazioni passive, specie nella realtà di un’impresa, possono essere migliaia; se fosse sufficiente la semplice contestazione, per di più generica, da parte dell’Ufficio, il contribuente si troverebbe oberato da un onere probatorio estremamente complesso e nella sostanza impossibile da gestire, in quanto dovrebbe provare l’effettività dell’operazione se solo contestata dall’Ufficio.

A fronte di tali considerazioni va precisato che la giurisprudenza in materia pare muoversi da una serie di premesse comuni:

a) in primo luogo la detrazione/deduzione spetta se sono assolti dal contribuente gli obblighi formali di documentazione e registrazione;

b) per disconoscere la detrazione/deduzione non basta che l’Ufficio affermi di non credere alla documentazione;

c) anche se l’Ufficio porta elementi a sostegno della sua affermazione sulla non corrispondenza delle fatture ad operazioni effettive, il contribuente può fornire ulteriori prove contrarie.

Pertanto, sotto il profilo dell’onere della prova, la giurisprudenza di legalità ha più volte chiarito i seguenti principi:

  • la fattura è documento idoneo a documentare un costo dell’impresa, come si evince chiaramente dall’articolo 21 del d.p.r. n. 633/72, in materia di Iva, che ne disciplina il contenuto, prescrivendo tra l’altro l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo di ogni operazione commerciale; pertanto, nell’ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Amministrazione, che deduce la falsità del documento e, quindi l’esistenza di un maggiore imponibile, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere” (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n. 18710/2005).
  • “…qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamente (in tutto o in parte) inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata posta in essere […] incombe sull’Amministrazione Finanziaria che adduca la falsità del documento e può essere adempiuto anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. […]. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente” (Corte di Cassazione sentenza n. 5406/2012);
  • “…qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamente inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata posta in essere incombe all’amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggiore imponibile). In sostanza … non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’amministrazione, che adduce la falsità del documento e, quindi, l’esistenza di un maggiore imponibile provare che l’operazione commerciale, documentata dalla fattura, in realtà non è stata mai posta in essere” (Corte di Cassazione sentenza n. 1110/2013).
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