L’opponibilità alla procedura concorsuale del patto di compensazione
di Luigi FerrajoliAi sensi degli articoli 56 L.F. e 155 del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), i creditori hanno diritto di compensare i crediti che essi vantano verso il debitore con i loro debiti nei confronti del medesimo, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento (ora il riferimento temporale è all’apertura della liquidazione giudiziale); per i crediti non scaduti, la compensazione non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento (ora la norma prevede che tale limite sia rappresentato dal momento del “deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale”) o nell’anno anteriore.
Tali disposizioni si applicano anche al concordato preventivo in virtù di quanto disposto dall’articolo 169 L.F.
Ebbene, posto che il diritto concesso ai creditori di effettuare la compensazione deve essere considerato un’eccezione al corollario della par condicio creditorum, da tali disposizioni è possibile arguire che se i crediti nei confronti del debitore sottoposto alle suddette procedure sono sorti dopo l’inizio delle stesse, questi non possono essere compensati, non potendo la norma essere interpretata estensivamente per contemplare delle eccezioni non espressamente statuite. Al contrario, se la compensazione ha ad oggetto crediti sorti e scaduti prima dell’inizio della procedura concorsuale la stessa è chiaramente concessa. Infine, se la compensazione riguarda crediti non scaduti, ma sorti anteriormente alla data di apertura della procedura, “la compensazione ex articolo 56 l. f. costituisce deroga alla regola del concorso, e può operare anche quando i presupposti di liquidità ed esigibilità ex articolo 1243 cod. civ., maturino successivamente al fallimento, e fino alla decisione; è però indefettibilmente richiesto che il “fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte” sia anteriore alla dichiarazione di fallimento (…)” (Cass. Civ., n. 825/2015 e, in tal senso, anche Cass. Civ., SS.UU., n. 775/1999).
In particolare, l’articolo 56 L.F. si ricollega ad un’esigenza di equità sostanziale, considerata la sua finalità di impedire che il terzo creditore, che sia anche debitore del soggetto in procedura, sia tenuto ad un adempimento integrale della propria obbligazione a fronte del realizzo del diritto vantato solamente nella misura concorsuale. Tale circostanza rappresenta una deroga alla compensazione oggetto della regola generale prevista dal citato articolo 1243 cod. civ. – del quale costituisce applicazione particolare – in quanto non richiede l’avvenuta scadenza ed esigibilità dei crediti verso il fallito al momento della sentenza dichiarativa dell’insolvenza.
A proposito del requisito di liquidità citato nelle menzionate pronunce, si evidenzia come sia necessario che i due crediti abbiano esistenza ed importo certo anche se, in base a quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 1243 cod. civ. il Giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente se lo stesso non è liquido ma di pronta e facile liquidazione, mentre, in relazione alla esigibilità, i crediti devono essere già scaduti nel momento in cui si richiede la compensazione, cosa che – come già detto – può avvenire anche a seguito dell’apertura della procedura concorsuale.
Orbene, con l’interessante recente ordinanza n. 2556/2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di validità, nel concordato preventivo, del patto di compensazione.
Più nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, nel campo delle anticipazioni su ricevute bancarie regolate in conto corrente, se “le relative operazioni sono compiute in epoca antecedente rispetto all’ammissione del correntista ad una procedura concorsuale, è necessario accertare – qualora il correntista successivamente ammesso al concordato preventivo agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca – se la convenzione relativa all’anticipazione su ricevute regolata in conto corrente contenga una clausola attributiva del “diritto di incamerare” le somme riscosse in favore della banca (c.d. patto di compensazione)”.
Solo in presenza di un mandato all’incasso, infatti, la banca può arrogarsi il diritto “di compensare il proprio debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente”, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore all’ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore. Va da sé che, in tale contesto, non può ritenersi operante il principio della c.d. cristallizzazione dei crediti, con la conseguenza che né l’imprenditore, né gli organi concorsuali hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse, anziché porle in compensazione con il proprio credito (Cass. Civ., n. 17999/2011).