Per questi motivi, se l’accesso presso l’azienda può svolgersi anche in mancanza del titolare, per l’accesso nei confronti del professionista – sottoposto a controllo – è necessaria la presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.
Ciò non vale, per esempio, per l’accesso presso il commercialista, detentore delle scritture contabili di un medico.
Il segreto in questione assume rilevanza solamente se il professionista lo eccepisce nel corso dell’ispezione e può riguardare soltanto fatti e circostanze che attengono direttamente alla tutela del diritto alla riservatezza.
Infatti, l’acquisizione di documenti e notizie, astrattamente coperti dal segreto professionale, può considerarsi illegittima solo se vi sia stata opposizione del professionista nella sua qualità di depositario e custode dello specifico segreto.
E, stante il tenore letterale dell’articolo 53 D.P.R. 633/1972, si deve presupporre che, in mancanza di esplicita e formale dichiarazione, il professionista abbia rinunziato ad opporre il segreto professionale.
Esclusi i fatti notori dal dovere di segretezza, come rilevato dalla GDF nella circolare n. 1/2018, nel corso di accessi ai fini fiscali, il segreto professionale può essere opposto soltanto per quei documenti che rivestono un interesse diverso da quelli economici e fiscali del professionista o del suo cliente.
Pertanto, non può essere eccepito per le scritture ufficiali né per l’acquisizione dei documenti che costituiscono prova dei rapporti finanziari intercorsi fra professionista e cliente.
Diversamente opinando, il segreto professionale si presterebbe ad essere uno strumento di elusione dei controlli (Corte di Cassazione, SS.UU., n. 11082 del 07.05.2010).
Nel caso in cui il professionista, nel corso di uno accesso presso il suo studio, eccepisca su determinati documenti, con atto verbalizzato, il segreto professionale, i verificatori dovranno sospendere l’attività di verifica, cautelando la documentazione, e richiedere l’autorizzazione alla Procura della Repubblica; la verifica potrà essere ripresa solo dopo che sia stata concessa l’autorizzazione da parte del magistrato (Cfr. Corte di Cassazione, Pen. Sez. III, sentenza n. 34020 del 01.12.2018).
Nel caso in questione, il Tribunale aveva ritenuto legittima l’acquisizione e l’utilizzazione dei documenti, poiché il titolare dello studio associato non solo era presente al momento dell’accesso ma aveva collaborato con i militari nell’analizzare il contenuto della documentazione rinvenuta, senza eccepire il segreto professionale, che deve risultare “da atto scritto”.
La medesima prassi operativa deve essere seguita anche qualora la documentazione, per la quale viene opposto il segreto professionale, sia custodita all’interno di supporti informatici.
Se le notizie riguardanti un proprio cliente sono invece spontaneamente rivelate dal professionista ai verificatori, non si determina alcuna acquisizione illegittima di dati e informazioni da parte di questi ultimi, e le notizie apprese possono essere utilizzate nell’accertamento.
Naturalmente, dal punto di vista della responsabilità civile, i clienti possono agire nei confronti del professionista, senza che ciò incida sulla piena validità dell’accertamento istruito.
La figura del professionista, che viene in rilievo, è quella di colui che svolge un lavoro intellettuale, senza vincolo di subordinazione, ciò che lo distingue sia dal lavoratore dipendente che dall’impresa; la maggior parte dei professionisti è comunque iscritta in appositi albi che ne regolamentano la professione, per cui la loro individuazione è quasi sempre agevole nella generalità dei casi.
Mentre l’illegittimo svolgimento dell’attività professionale non gli consente di opporre il segreto professionale.
Infatti, l’illegittima attività professionale dell’indagato e la commissione di delitti fa sì che la possibilità di opporre il segreto deve passare attraverso la dimostrazione della titolarità di una situazione giuridica tipica cui l’ordinamento riconosce la facoltà di opporre il segreto, non potendo invocarlo automaticamente, in quanto non iscritto ad un Ordine o ad un Collegio. Così si è espressa la Corte di Cassazione, sez. pen., con la sentenza n. 14082 del 01.04.2019.