10 Giugno 2015

L’orto-florovivaismo e il quadro RD – parte I

di Luigi Scappini
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Tra le attività che possono dare origine a un reddito agrario vi sono anche quelle di coltivazione di vegetali, infatti, ai sensi dell’articolo 2135 codice civile “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Affinché l’attività possa essere considerata quale agricola principale è necessario, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 15/E/1998, che l’attività contempli lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso con la conseguenza che, ad esempio, non si potrà mai considerare come agricola la mera rivendita di piante o quella di fiori recisi.

Da un punto di vista strettamente fiscale, ai sensi dell’articolo 32 Tuir, rientrano nel reddito agrario “… le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste”.

È di tutta evidenza come, in assenza di un terreno, in proprietà o meno, non sia possibile poter determinare un reddito su base catastale.

Del resto, lo stesso Legislatore civilistico, in fase di riscrittura dell’articolo 2135 del codice civile, è vero che ha ridotto la connessione con il fondo, ma la ha tenuta pur sempre potenziale, di fatto non consentendo la ricomprensione tra le attività agricole, ad esempio, delle attività di ricreazione di organismi vegetali eseguita in laboratorio.

In ragione di quanto previsto all’articolo 32, si determinerà sempre un reddito agrario allorquando l’attività di produzione di vegetali verrà svolta utilizzando una superficie nel limite del doppio di quella su cui la produzione insiste.

Sul punto, si ricorda come la Risoluzione n. 148/E/2000, riprendendo quanto già affermato con la richiamata Risoluzione n.15/E/1998 e con la Circolare n. 137//1997, ha affermato come ai fini della verifica del parametro estensivo, si dovrà aver riguardo “alla superficie sulla quale insiste la produzione (ripiani o bancali) e non già a quella coperta della struttura”, con la conseguenza che “qualora il suolo non venga utilizzato per la coltivazione, rientrano nel ciclo agrario soltanto le produzioni svolte su non più di due bancali o ripiani”.

In altri termini, la determinazione del reddito su base catastale, con conseguente compilazione del quadro RB di Unico, è ammessa nel caso di produzione nel limite del doppio del terreno occupato dai bancali e/o ripiani.

Ma in caso di superamento di detto limite quantitativo che cosa accade?

In tal caso, norma di riferimento è l’articolo 56-bis Tuir ove il Legislatore prevede, non solo per i redditi derivanti dall’ortoflorovivaismo, un regime di tassazione forfettario.

In particolare, ai sensi del comma 1, il reddito, che si precisa è un reddito di impresa stante il posizionamento nel contesto del Tuir dell’articolo 56-bis, che deve essere fatto concorrere a tassazione, è determinato in misura pari all’ammontare corrispondente al reddito agrario relativo alla superficie sulla quale la produzione insiste in proporzione alla superficie eccedente.

Prima di proporre un esempio pratico di determinazione di tale eccedenza, bisogna delimitare l’ambito di applicazione del comma 1, poiché, il successivo comma 4 prevede che la norma non si applica “ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), nonché alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice.”.

Inoltre, il successivo comma 5 stabilisce che tale regime è sì quello naturale, ma vie data facoltà al contribuente di optare per la determinazione analitica del reddito eccedente (fino al doppio della superficie scatta la cosiddetta franchigia e il reddito sarà sempre agrario).

Esemplificando quanto fin qui detto, ipotizziamo che l’azienda agricola abbia una serra con un reddito agrario pari a 10.000 euro e che la produzione (il 1° bancale o ripiano) insista su 200 mq e che la superficie complessiva di produzione si attesti a 700 mq.

L’impresa dichiarerà un reddito agrario nel limite di 400 mq, mentre dovrà determinare un reddito di impresa da dichiarare per la superficie eccedente pari a 300 mq.

Si dovrà calcolare la “redditività” a mq che sarà pari a 50 euro (10.000/200) e applicare tale coefficiente alla superficie eccedente: 50*300 = 15.000.

L’azienda agricola, in sede di dichiarazione dei redditi dovrà compilare il quadro RD e più precisamente la Sezione II.

Nel rigo RD6, colonna 1 andrà indicata la superficie complessiva di produzione (nel nostro caso 700) e in colonna 2 la superficie del 1° bancale (nel nostro caso 200).

Nel rigo RD7 confluirà la differenza e cioè l’eccedenza di produzione (nel nostro caso 300).

Nel rigo RD8 si indica il reddito agrario della superficie su cui insiste la produzione (nel nostro caso 10.000) e in RD9 il reddito come determinato ai sensi dell’articolo 56-bis, comma 1 Tuir (nel nostro caso 15.000).