L’utilità residua delle causali nei contratti a termine e i nuovi dubbi quantitativi
di Luca Vannoni
La disciplina del contratto a termine ha visto superata, mediante il DL 34/2014, una delle più rilevanti problematiche che aveva caratterizzato tale contratto, e cioè l’interpretazione delle causali per l’apposizione del termine, le “ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive”. Ora, fino alla soglia massima dei 36 mesi, comprensiva di proroghe, non vi sarà più la necessità di dettagliare nella lettera di assunzione le motivazione specifiche e, secondo l’orientamento assolutamente maggioritario della giurisprudenza, temporanee che hanno portato alla conclusione del contratto a termine.
Ad ogni modo, da un analisi sistematica della normativa del contratto a termine, il D.Lgs. 368/2001, si possono evidenziare una serie di ipotesi dove l’indicazione della causale, se legata, in particolare, a esigenze stagionali o sostitutive, può portare ad una serie di deroghe alle limitazioni di utilizzo del contratto a termine.
Da strozzatura, spesso portatrice di rischi di riqualificazione, la specificazione della causale, se legata a stagionalità, può portare in primo luogo all’esclusione del limite massimo di 36 mesi nella successione di contratti a termine tra le stesse parti. La flessibilizzazione del contratto fino a 36 mesi come periodo massimo continuativo, senza causali e con 8 proroghe massimo, non ha cancellato il limite massimo dei 36 mesi nella successione di singoli contratti succedutisi nel tempo a prescindere dai periodi di stacco tra uno e l’altro. Pertanto, il datore di lavoro potrà reimpiegare nei vari cicli stagionali senza doversi preoccupare della durata del rapporto complessivo. Il richiamo appena fatto ci consente di evidenziare subito una differenza sostanziale tra i due parametri temporali: la durata massima del singolo contratto non può essere derogata dalla contrattazione collettiva, la durata massima complessiva si.
I lavoratori stagionali sono inoltre esclusi dagli stacchi obbligatori (10 o 20 giorni) e dal limite massimo di lavoratori utilizzabili rispetto al forza lavoro, le c.d. clausole di contingentamento.
Pertanto, nella lettera di assunzione è importante evidenziare le ragioni stagionali, sia quelle previste dal DPR 1525/63, sia quelle eventualmente definite dalla contrattazione collettiva.
Di minor impatto, ma sicuramente interessante, sono le conseguenze di flessibilità nel caso della causale sostitutiva: la deroga infatti è limitata alle clausole di contingentamento, mentre risultano applicabili tutti gli altri limiti.
L’esigenza di specificare la causale potrebbe derivare dalla possibilità di accedere allo sgravio contributivo del 50% sulla quota a carico dei datori di lavoro per le assunzioni in sostituzione di lavoratrici in maternità, beneficio riservato alle imprese fino a 20 dipendenti.
La riforma delle causali non ha intaccato le discipline speciali previste dall’art. 2 del D.Lgs. 368/2001 per i servizi aeroportuali e postali, anche se la riforma generale operata di fatto ne fa perdere l’appetibilità.
Se la disciplina che ha liberalizzato le causali ha una trama sufficientemente certa, molto più evidenti sono i dubbi interpretativi in ordine al contrappeso alla liberalizzazione, e cioè il limite massimo del 20% dei contratti a temine sull’intero organico, da cui sono escluse le imprese fino a 5 dipendenti possono comunque concludere un contratto a termine.
Il limite massimo si riferisce anche alla somministrazione di lavoro? La logica direbbe di si, fermo restando che una semplice precisazione in sede di conversione toglierebbe il dubbio. Come conteggiare l’organico? Rientrano anche i contratti a termine? Come coordinare il nuovo limite del 20% con le disposizioni contrattuali? Gli studi professionali fino a 5 dipendenti possono assumere un lavoratore a termine?
Molti sono i dubbi nell’applicare la nuova regola quantitativa, e non si ritengono sufficienti interpretazioni di prassi ministeriale, rilevanti solo in sede ispettiva e non davanti al giudice: in sede di conversione, come detto, sarebbe opportuno un intervento correttivo che risolva le questioni sopra evidenziate. Non tanto per avere disposizioni ancor più favorevoli per le imprese, ma, viceversa, per avere un quadro normativo certo, che non nasconda insidie interpretative che possano delegittimare le scelte operate dalle aziende. Nello stesso modo, non sarebbe scandalosa una riduzione del numero massimo di proroghe, otto, in sede di conversione del DL, purché non sia toccata l’abrogazione delle causali. Una delle semplificazione più importanti è infatti legata al metodo normativo: disposizioni chiare, immediatamente applicabili e con spazi limitati per piroette interpretative.