27 Febbraio 2015

Ma come si detrae l’imposta sul valore aggiunto?

di Massimiliano Tasini
Scarica in PDF

La discussione in merito alla spettanza del diritto alla detrazione Iva viaggia in ogni direzione.

A fianco del dibattito, assai interessante, relativo alle “asimmetrie” tra diritto alla deduzione dei costi, agli effetti delle imposte dirette, e diritto alla detrazione, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, con posizione più “morbida” ai fini di quest’ultima imposta, come confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 12502/2014, recentemente abbiamo assistito ad un aspro contrasto interpretativo sulla spettanza del credito di imposta che sarebbe pacificamente maturato se fosse stata presentata la dichiarazione agli effetti dell’Iva (e diciamo “se fosse”, nel presupposto che in realtà sussista una omessa dichiarazione).

Dalla lettura del secondo comma dell’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972 – “se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile di cui al n. 3) dell’articolo 28, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1) dello stesso articolo, il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività” – non è dato comprendere se il diritto alla detrazione sia subordinato o meno alla presentazione della dichiarazione medesima, tanto che con l’ordinanza n. 16053, la sesta sezione della Corte di Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, ritenendo dunque possibile la lettura, pro-contribuente, secondo cui sarebbe spettante il diritto alla detrazione dell’eccedenza Iva a credito, se la stessa risulti dalle liquidazioni periodiche (lettura, peraltro, confermata dalla giurisprudenza di merito; per tutte vedasi Commissione Trib. Reg. Puglia Bari Sez. XIII, 10-11-2014, n. 2214).

Mentre attendiamo con “ansia tributaria”, dobbiamo pure dar atto che la stessa Corte, con la sentenza n. 22092/2014 ha, analogamente, rinviato alle Sezioni Unite la soluzione del problema se sia necessario o meno un avviso di accertamento, in luogo di una cartella esattoriale, per negare il diritto al credito derivante da una dichiarazione omessa; anche in tal caso, infatti, la Corte ha talora sostenuto, come nella sentenza n. 4539/2013, tale necessità, in altre occasioni l’ha negata.

A rigor di logica, che si debba pretendere che il Fisco emetta un atto impositivo per negare l’esistenza di un credito, che il contribuente non abbia mai fatto emergere da una dichiarazione Iva regolarmente presentata, sembra quantomeno eccessivo; naturalmente, questo non significa che il credito non possa esistere, ma contestare all’Agenzia di aver emesso una cartella esattoriale, in un caso quale quello sopra descritto, a sommesso avviso di chi scrive è davvero difficile da digerire.

In attesa del responso, registriamo pure la recente pronuncia della Cassazione, sentenza n. 455/2015, secondo la quale la mancata presentazione della dichiarazione Iva annuale preclude la detrazione dell’Iva sugli acquisti nel relativo periodo e legittima l’accertamento induttivo dell’Erario. E con l’accertamento induttivo, tutti i meccanismi “saltano”, salvo non si ritenga che la funzione di una simile metodologia sia “solo” quella di agevolare l’Erario medesimo e non uno strumento di punizione.

Ci viene, con sincera commozione, il desiderio di ricordare le parole del nostro nuovo ed amatissimo Presidente: “Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani“.