Intanto, ovviamente, si decade dal regime nel caso in cui vengano meno i due presupposti:
- l’aspetto soggettivo: essere stata accertata la reale natura lucrativa dell’ente;
- e quello del volume d’affari: aver superato i 250.000 euro di proventi commerciali incassati nel periodo di imposta.
Il documento di prassi amministrativa più recente sul tema è la Circolare n. 9/E/2013 dell’Agenzia delle entrate, che offre una risposta in tal senso, rispondendo ad una serie di quesiti pervenuti all’ufficio: innanzitutto precisa, in maniera del tutto condivisibile, che non costituisce causa di decadenza la mancata tenuta del registro riepilogativo su cui annotare mensilmente i proventi commerciali di cui al modello previsto dal D.M. 11 febbraio 1997, quando i comportamenti del contribuente siano tali da rendere comunque trasparente la scelta per il regime contabile e la ricostruzione degli incassi commerciali.
Il passaggio successivo appare essere, invece, del tutto opinabile. Il tema è legato alla sussistenza, nello statuto del contribuente, dei principi previsti dall’articolo 90, comma 18, L. 289/2002, con particolare riferimento alle norme ispirate a “principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati“.
Il documento di prassi, dopo aver chiarito i contenuti e i comportamenti che violino o meno detto principio, conclude affermando che, data “la violazione posta in essere dall’associazione e la disposizione statutaria concernente la democraticità dell’ente, si ritiene che l’associazione sportiva dilettantistica decada dai benefici recati dalla legge 398 del 1991 per mancata osservanza della clausola di cui al citato articolo 90 comma 18, lettera e) della legge 289 del 2002“.
Si ritiene di non poter condividere questa conclusione. L’assenza, reale o presunta, del requisito della democraticità nello statuto e/o nei comportamenti di un sodalizio potrà produrre solo due conseguenze:
- la prima è il venir meno dei requisiti previsti per il riconoscimento ai fini sportivi da parte del Coni (e la conseguente iscrizione nel registro Coni);
- e la seconda, ad essa conseguente, è la perdita della possibilità di applicare i commi 1 (estensione alle società di capitali sportive dei benefici fiscali previsti per le associazioni), 3 (estensione delle agevolazioni sui compensi sportivi previsti dall’articolo 67, primo comma, lett. m), Tuir ai c.d. amministrativo – gestionali), 5 (imposta di registro in misura fissa), 7 (esonero dal pagamento delle concessioni governative), 8 (presunzione di spesa pubblicitaria delle sponsorizzazioni fino a euro 200.000), 9 (erogazioni liberali), 10 (Irap sui compensi sportivi), 11 (imposta di pubblicità), 12 (fondo Istituto per il credito sportivo), come prevede espressamente il primo comma dell’articolo 7, D.L. n. 136/2004. Anzi, la locuzione recata dalla norma citata (“le disposizioni citate […] si applicano alle società e associazioni sportive dilettantistiche che sono in possesso del riconoscimento ai fini sportivi“) sembra far intendere che possano esistere associazioni sportive “non iscritte” a cui si possano applicare le rimanenti agevolazioni.
Ma se anche volessimo sostenere che l’associazione sportiva che non ha i requisiti di cui al comma 18, dell’articolo 90, L. 289/2002 non sia più tale, rimane comunque, fino a prova contraria, un ente senza scopo di lucro e, come tale, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 9-bis, L. 66/2002, un ente che, a pieno titolo, gode della possibilità di applicare la legge 398/1991 (sul punto vedi anche EcNews del 20.02.2015 “I dubbi ancora irrisolti della legge 398/91”).
Pertanto, a parere di chi scrive, se il soggetto su base associativa può dimostrare di non aver avuto scopo di lucro e di non aver superato i 250.000 euro di incassi commerciali, potrà utilizzare la Legge 398/1991 pur in presenza di statuto “antidemocratico”.