Maggior fatica per lo scomputo delle ritenute d’acconto?
di Comitato di redazioneSi scaldano i motori per le dichiarazioni dei redditi e, fra alcune novità, si ripropongono vecchie questioni mai risolte.
Ci rivolgiamo a coloro che possono scomputare le ritenute d’acconto subite durante l’anno ed, in particolare, ai tanti colleghi che predisporranno le proprie dichiarazioni, magari consci del fatto che i propri clienti (seguiti dallo stesso studio) non avevano la sufficiente liquidità e, per conseguenza, non hanno effettuato il versamento.
Che fare, dunque? Scomputare o non scomputare?
La vicenda non è nuova ma, in ogni caso, vale la pena di riassumerne i contorni, verificando se il tema della certificazione unica possa avere apportato delle modifiche ai pregressi ragionamenti.
Partiamo allora dall’articolo 22 del TUIR
L’articolo 22 del TUIR sancisce che dall’imposta si scomputino, nell’ordine:
- l’ammontare dei crediti per le imposte pagate all’estero secondo le modalità di cui all’articolo 165;
- i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell’imposta;
- le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate … sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo (al riguardo, per i professionisti non si pone il problema della competenza).
La dizione della norma è talmente chiara che non dovrebbero sorgere dubbi: ciò che conta (ai fini delle scomputo) è il fatto che si sia incassata una somma netta, avendo già così “patito” la decurtazione. Che poi il soggetto obbligato non abbia provveduto al versamento, dovrebbe essere circostanza del tutto ininfluente ai fini del nostro ragionamento.
Pur tuttavia, non possiamo fermarci qui, dovendo evocare cosa accade nel momento in cui l’Agenzia dovesse richiedere al professionista la documentazione delle ritenute operate; supponiamo che sia tutto in regola, nel senso che si sia in grado di esibire tutte le certificazioni uniche (senza, dunque, bisogno di scomodare la risoluzione 68/E del 19-03-2009 in tema di prova alternativa della ritenuta). Il tutto verrà archiviato? Probabilmente no, in quanto l’Agenzia sempre più spesso incrocia la posizione del sostituito con quella del sostituto, al fine di verificare l’avvenuto versamento delle medesime ritenute. Ove il pagamento non sia avvenuto, disconosce lo scomputo in capo al sostituito, evocando una responsabilità solidale tra i due soggetti.
Ma siamo propri sicuri che tale responsabilità solidale sussista?
A nostro giudizio la risposta non può che essere negativa, ma di differente avviso pare essere la Cassazione che, con la sentenza 23121 del 11-10-2013 ha avuto modo di affermare che: Siffatta classificazione non appare, tuttavia, rilevante nel caso di specie, in quanto, a prescindere se la ritenuta sia prevista a titolo di imposta o a titolo di acconto, il fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 1, definisca il sostituto d’imposta come colui che “in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri… ed anche a titolo di acconto” non toglie che, in ogni caso, anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione, come espressamente ribadito dal citato art. 35) obbligato solidale al pagamento dell’imposta: soggetto perciò egli stesso all’accertamento ed a tutti i conseguenti oneri. Fermo restando, ovviamente, il diritto di regresso verso il sostituto che, dopo avere eseguito la ritenuta, non l’abbia versata all’erario, esponendolo così all’azione del fisco (Cassazione 14033/2006;24962/2010).
Il citato articolo 64 del DPR 600/1973 prevede appunto che:
- chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso;
- il sostituto ha facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento dell’imposta;
- chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa.
Dunque, nell’ottica della Cassazione, il nostro diritto contempla – per i professionisti (ma non solo) – il motto “cornuti ed anche mazziati”: infatti, una prima volta si è incassato il compenso decurtato (in quanto il sostituto ha l’obbligo di operare la ritenuta) e, in caso di controllo, si deve corrispondere all’Agenzia quanto è già stato trattenuto da altri.
Del tutto insoddisfacente (anzi, quasi dal sapore di beffa) il fatto che il sostituito colpito dal recupero si possa rivalere sul sostituto; peraltro, volendo fare i raffinati, la rivalsa è evocata dalla norma solo in merito all’imposta, mentre resterebbero comunque a carico “dello sfortunato” le sanzioni.
Peraltro, la questione abbastanza singolare è che nessuna responsabilità è normalmente evocata nel caso in cui non si venga raggiunti da una richiesta da articolo 36-ter del DPR 600/1973, nonostante il mancato versamento sia pienamente visibile dal modello 770 del sostituto, ovviamente a condizione che questi l’abbia presentato.
Trattasi, dunque, di una presunta responsabilità solidale che sembra assumere più i connotati di una necessità di definire una pratica con un recupero fiscale.
Non pare vi siano soluzioni alternative, se non quella di sperare che la Cassazione cambi il proprio orientamento; infatti, anche la giurisprudenza di merito che ha assunto posizioni più lungimiranti (ad esempio, CTP di Milano, sentenza 73 del 23-06-2011), si “arrende” alla norma, pur ritenendola iniqua, e non può far altro che auspicare un preventivo tentativo di escussione in capo al sostituto (idea, questa, che comunque ci piace, laddove si giunga a sostenere che, senza la dimostrazione dell’inutile tentativo esperito non si possa aggredire il sostituto).
Anche questo caso, dunque, rappresenta un chiaro esempio di cosa possa fare l’Amministrazione finanziaria per rendere più trasparente e leale il rapporto con il contribuente: recuperare le imposte su chi non le ha versate. Non sembra molto difficile!