Maggiori tutele per il contribuente sull’obbligo di motivazione degli atti
di Angelo GinexLa recente riforma dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), operata dal D.Lgs. 219/2023, attuativo della delega fiscale (L. 111/2023) e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3.1.2024, ha introdotto, con decorrenza dallo scorso 18.1.2024, rilevanti modifiche, anche in tema di chiarezza e motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria.
Nello specifico, mediante la riformulazione dell’articolo 7, L. 212/2000, il Legislatore delegato è intervenuto sulla disciplina concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, al fine di armonizzare il testo normativo con gli approdi più recenti della giurisprudenza interna, eurounitaria e internazionale, nonché di eliminare alcune aporie indotte dal testo precedente.
La riforma ha operato, altresì, il coordinamento della disposizione citata con alcune novità normative, al fine di ottenere un risultato sistematicamente coerente e adeguatamente bilanciato tra l’esigenza di efficienza dell’attività amministrativa, da un lato, e il diritto di azione e difesa in giudizio dei contribuenti, dall’altro, tenendo conto, peraltro, dell’esigenza di incentivare la definizione precontenziosa delle controversie.
A tal fine, al comma 1, dell’articolo 7, L. 212/2000, è previsto che gli atti dell’Amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, siano motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Inoltre, se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto che non sia già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indichi espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati.
Quindi, appare evidente come la novella, da un lato, integri i mezzi di prova quale elemento cardine del fondamento dell’atto e, dall’altro, agevoli la motivazione per relationem, eliminando la non proporzionata necessità di allegare in ogni caso, anche quando noto, l’atto richiamato, in un’ottica di efficienza dell’azione amministrativa. A ciò si aggiunga, però, che la riforma ha specificato la necessità di un’espressa spiegazione nella parte motiva dell’atto delle ragioni per le quali l’organo (o l’ente) che emana il provvedimento ritiene accertati i fatti di cui all’atto richiamato o ne condivide le valutazioni, in armonia con la giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza n. 5913/2010; sentenza n. 10680/2009; sentenza n. 8690/2002).
La novella, poi, ha introdotto nell’articolo 7, L. 212/2000, anche altre importanti previsioni, sempre in un’ottica di tutela del contribuente, mediante l’inserimento dei commi 1-bis, 1-ter e 1-quater.
In particolare, il comma 1-bis ha previsto che i fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possano essere successivamente modificati, integrati o sostituiti, se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze. Così facendo la norma ha inteso vietare la c.d. mutatio libelli, e cioè che il fondamento dell’atto e della pretesa venga “stravolto” rispetto al fondamento indicato in motivazione.
Invece, i commi 1-ter e 1-quater, hanno disciplinato il rapporto tra atti della riscossione e atti impositivi con specifico riferimento al profilo della motivazione. È stabilito che gli atti della riscossione che costituiscono il primo atto con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori, indichino, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criterio di determinazione, l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione.
Dunque la novella ha recepito il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui: “quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria (…), essa deve (…) contenere gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione” (sentenza n. 11722/2010).
Quanto indicato, come espressamente previsto, trova applicazione anche agli atti della riscossione emessi nei confronti dei coobbligati solidali, paritetici e dipendenti, fermo l’obbligo di autonoma notificazione della cartella di pagamento nei loro confronti. La finalità della norma, quindi, è quella di estendere le garanzie della motivazione, a maggior ragione, agli atti della riscossione emessi nei confronti dei soggetti così come sopra qualificati, dal momento che questi, pur non avendo realizzato il presupposto del tributo, vengono coinvolti, a vario titolo, nella responsabilità per fatto dell’obbligato principale.
Da ultimo, la novella ha abrogato il comma 3, dell’articolo 7, il quale prevedeva che sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria. L’abrogazione si è resa necessaria poiché la norma è stata superata dalla più organica e completa disciplina introdotta in punto di obbligo di motivazione.