Margini infragruppo inferiori giustificati dalle grandi quantità
di Fabio LanduzziLa Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 7499 del 3 ottobre 2016, ha affrontato un interessante caso di contestazione in materia di prezzi di trasferimento. La società italiana oggetto di controllo vendeva a proprie consociate estere realizzando apparentemente in queste transazioni dei margini di profitto inferiori rispetto a quelli che realizzava nelle vendite compiute con soggetti terzi. Attraverso un confronto interno (cd. “CUP – “Controlled Uncomparable Price”) dei prezzi applicati, i verificatori hanno quindi contestato alla società l’omessa tassazione di proventi eccependo che le transazioni infragruppo avvenivano a valori che si discostavano ingiustificatamente da quelli formati in condizioni di libera concorrenza. Perché è interessante la motivazione elaborata dai Giudici milanesi con cui gli stessi accolgono le doglianze della società ricorrente annullando l’accertamento?
L’interesse per questo caso giurisprudenziale sta nel fatto che i Giudici hanno correttamente approcciato la questione in chiave aziendalistica, ovvero verificando se prezzi unitari apparentemente più bassi praticati alle consociate estere dell’impresa fossero o meno giustificati sotto il profilo economico aziendale; ebbene, questi i risultati che si traggono dalla parte motiva della sentenza.
- La società oggetto del controllo, prima di tutto, ha adottato una politica di prezzi con sconti crescenti in modo proporzionale alle quantità acquistate dal cliente; quindi, come è usuale nelle transazioni commerciali, al cliente che acquista con regolarità quantità maggiori del prodotto, vengono accordati sconti percentuali maggiori. Ovvio che, aritmeticamente, il prezzo unitario del prodotto scende per i clienti maggiori, ma ciò non significa che, per il semplice fatto che tali maggiori clienti fossero proprio le consociate estere, si determinasse necessariamente una pratica di prezzi di trasferimento non lecita.
- Che il comportamento adottato dalla società fosse economicamente giustificato è stato dimostrato dal fatto che, considerando la media delle operazioni di vendita realizzate, le percentuali di sconto applicate ai maggiori clienti consociati erano allineate a quelle applicate ai maggiori clienti terzi.
- Il termine di paragone, quindi, non doveva essere compiuto sul singolo prodotto, quanto invece sulla media delle varie transazioni compiute per ciascun cliente, e con riferimento ad esse con riguardo alla media degli sconti applicati per quantità omogenee acquistate, così da evitare di essere fuorviati da dati riferiti invece a singole operazioni su singoli prodotti.
I Giudici non hanno quindi condiviso l’approccio dei verificatori che era stato diretto ad effettuare una analitica comparazione delle transazioni dei singoli prodotti, peraltro molto eterogenea anche per mercati e dimensioni, in quanto così si era finiti con il comparare prezzi riferiti a vendite di grandi quantità con prezzi relativi a cessioni aventi per oggetto poche unità di prodotto; l’analisi ha quindi perso di significatività.
- Il confronto, poi, non deve prescindere dal considerare la diversa incidenza dei costi relativi alle vendite a terzi rispetto a quelle rivolte alle consociate; ad esempio, è stato dimostrato che nella vendita a terzi la società sostiene maggiori costi di trasporto e di vendita.
- Di più, il confronto non può mai prescindere dalla valutazione di omogeneità di rischi assunti e funzioni svolte dal soggetto nella specifica transazione; in particolare, nella relazione con soggetti terzi la società assumeva un rischio di credito e di cambio, che non era presente nelle vendite alle consociate.
I Giudici hanno quindi concluso per ritenere uniforme, fra soggetti consociati e soggetti terzi, la politica di prezzo applicata dalla società; peraltro, non hanno perso l’occasione per sottolineare che la valutazione del valore normale è pur sempre un processo di stima, che comporta inevitabilmente l’uso di modelli statistici che si accompagnano ad una spiccata discrezionalità; di conseguenza, un limitato scostamento in termini percentuali non è statisticamente rilevante e deve perciò trovare giustificazione senza indurre di per se stesso ad accertamenti di materia imponibile.