14 Novembre 2017

I modelli ISO 9001 e i modelli 231 non sono equiparabili

di Luigi Ferrajoli
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Secondo la Corte di Cassazione, l’adozione di modelli aziendali ISO 9001 non è sufficiente per escludere la responsabilità amministrativa dell’ente in caso di contestazione di reati presupposto, poiché tali modelli non possono essere ritenuti equiparabili a quelli specificamente previsti dal D.Lgs. 231/2001.

Come noto, infatti, l’articolo 6 del D.Lgs. 231/2001, che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevede che nel caso in cui venga commesso un reato, a vantaggio dell’ente stesso, da una persona che riveste un ruolo apicale o che ne abbia, anche di fatto, la gestione e il controllo, l’ente non risponde se prova di avere adottato e attuato efficacemente, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e che le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente tali modelli di organizzazione e di gestione.

I modelli di organizzazione e di gestione costituiscono quindi una causa di esclusione della responsabilità amministrativa dell’ente; il loro ruolo è quindi fondamentale in caso di contestazione di un illecito.

La valutazione dell’idoneità del modello ad escludere la responsabilità dell’ente è affidata all’autorità giudiziaria che non dovrà considerare l’efficacia dei modelli organizzativi in via astratta, ma dovrà valutare la situazione concreta in cui tale modello è stato adottato nonché la sua effettiva attuazione.

In assenza di precise indicazioni da parte del legislatore, è spettato quindi alla giurisprudenza il compito di ricostruire le caratteristiche di un modello organizzativo efficace, spesso anche individuando, a contrariis, gli elementi che rendono non idoneo il modello.

Sul punto si è espressa recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41768 del 13.09.2017, relativa alla nota vicenda delle residenze assistite nella Regione Puglia, che vedeva coinvolti diversi soggetti imputati di reati quali corruzione aggravata, abuso d’ufficio e peculato; tali reati erano anche presupposto della responsabilità amministrativa delle società facenti riferimento agli imputati.

Tra i diversi profili di contestazione della sentenza di secondo grado da parte della difesa delle società vi era anche quello relativo all’asserita mancata indicazione delle ragioni per cui non era stata riconosciuta l’esistenza di un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione dei reati.

La Suprema Corte ha rigettato il motivo di ricorso ritenendo corretta la valutazione dei giudici di appello sull’insussistenza, all’interno delle società coinvolte, del modello organizzativo e di gestione richiesto dal D.Lgs. 231/2001; a tale categoria non potevano infatti ricondursi i modelli aziendali ISO UNI EN ISO 9001, preesistenti alla commissione dei reati in contestazione.

La Corte di Cassazione ha, quindi, condiviso la conclusione della Corte di Appello secondo cui i modelli aziendali ISO UNI EN ISO 9001 non potevano essere ritenuti equivalenti ai modelli richiesti dal D.Lgs. 231/2001 perché “non contenevano l’individuazione degli illeciti da prevenire unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio delle violazioni del modello e si riferivano eminentemente al controllo della qualità del lavoro nell’ottica del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale” ed inoltre che “il modello cd. “Deloitte” non solo è stato adottato nel dicembre 2003, e, quindi, in ogni caso, in data successiva a quella di commissione dei reati presupposto, ma non conteneva, tra l’altro, nè il codice di comportamento e le relative procedure, nè il codice etico, nè le procedure per la conoscenza dei modelli, nè il sistema sanzionatorio”.

Infine, nell’aderire alle conclusioni già raggiunte dal Tribunale, la Corte d’appello ne aveva espressamente riportato le affermazioni relative alla non condivisione delle osservazioni esposte nelle relazioni del consulente tecnico della difesa degli enti, che si era profuso nella descrizione dell’equivalenza dei modelli ISO 9001 ai modelli di organizzazione e gestione previsti dal D.Lgs. 231/2001.

Secondo quanto si ricava dalla sentenza, l’impossibilità di equiparare i modelli qualità e i modelli 231 deriva in conclusione dalla diversa finalità delle due fattispecie e nella mancata individuazione, nel primo, degli illeciti da prevenire: il modello qualità si riferisce infatti al controllo della qualità del lavoro ed è finalizzato al rispetto delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale, mentre il secondo è finalizzato esclusivamente alla prevenzione dei reati presupposto indicati nel D.Lgs. 231/2001.

 

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