Modello 231: la rilevanza dei reati ambientali
di Marco BargagliCome noto, il D.Lgs. 231/2001 prevede la responsabilità amministrativa degli enti (es. società, associazioni, consorzi, enti pubblici economici), in seguito alla commissione di specifici reati posti in essere da amministratori, dirigenti e dipendenti nell’interesse o a vantaggio degli enti stessi.
In buona sostanza, la responsabilità amministrativa dell’Ente si aggiunge a quella delle persone fisiche.
Di seguito indichiamo i presupposti previsti per l’applicazione delle sanzioni:
- il comportamento tenuto dal soggetto deve integrare una delle tipologie di reato previste dal D.Lgs. 231/2001 (c.d. reato presupposto);
- il reato deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio della società o dell’ente;
- deve essere omessa la predisposizione del modello organizzativo finalizzato ad individuare i rischi e prevenire i reati, oppure rilevata l’inadeguatezza o l’inefficace attuazione del modello organizzativo.
L’articolo 6 D.Lgs. 231/2001 esonera dalla responsabilità la società o l’ente:
- che ha adottato e efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- che ha affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curarne l’aggiornamento a un organismo dell’ente (organismo di vigilanza) dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.
Quindi, possiamo concludere che la società o l’ente non risponde della responsabilità amministrativa qualora abbia attivato, preventivamente ed efficacemente, un modello di organizzazione, di gestione e di controllo del rischio.
Sotto il profilo soggettivo, il modello organizzativo 231 si applica:
- alle associazioni (riconosciute e non) e le fondazioni;
- alle società di capitali e di persone anche partecipate da enti pubblici (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 28699/2010);
- agli enti privati che svolgono un servizio pubblico (esempio mediante concessione, convenzione o altro provvedimento amministrativo);
- agli enti pubblici economici (enti di diritto pubblico che hanno come compito esclusivo o principale l’esercizio di un’attività di impresa);
- agli enti del terzo settore quali, ad esempio, le associazioni sportive dilettantistiche.
Di contro, risultano esclusi dalla normativa in riferimento:
- lo Stato;
- gli enti pubblici territoriali;
- gli enti pubblici non economici;
- gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (es. sindacati e partiti politici).
Ai sensi dell’articolo 25-undecies D.Lgs. 231/2001 i reati ambientali rientrano tra i reati presupposto ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente o della società.
Sullo specifico punto, la suprema Corte di cassazione, sezione 3^ penale, con la sentenza n. 21034/2022 del 05.05.2022 ha tracciato importanti principi di diritto circa la rilevanza proprio dei reati ambientali ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente.
Il Tribunale di Rimini aveva condannato una persona fisica per avere versato in un torrente cose atte a offendere e imbrattare le persone, trattandosi di rifiuti provenienti sia da scarichi di natura industriale, perché contenenti alluminio, borio, bario, rame ferro, zinco, piombo, nichel e cromo, sia di natura domestica.
In merito, sulla base del costante orientamento espresso in sede di legittimità, in tema di tutela delle acque dall’inquinamento per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall’insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore.
Già in passato, la Corte di cassazione, Sez. 3 penale, con la sentenza n. 6528 del 20.10.2020 ha ritenuto che integrassero gli estremi dello scarico le acque meteoriche convoglianti i percolamenti creatisi durante il passaggio dei rifiuti solidi urbani dagli automezzi ai compattatori defluenti in una griglia nella pavimentazione dell’area esterna allo stabilimento e nelle rispettive canalette.
Ciò posto, i Giudici di piazza Cavour hanno confermato la responsabilità tenuto conto che il Tribunale, dopo aver dato atto della esistenza di tutti i presupposti richiesti dalla Legge per poter ritenere configurabile la responsabilità amministrativa dell’ente (ex decreto 231) e cioè la sussistenza del reato di cui all’articolo 137, commi 1 e 2, D.Lgs. 152/2006, la qualifica soggettiva dell’autore del reato, la mancata dimostrazione della adozione di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire la commissione di reati, ha anche affermato che il soggetto attivo del reato aveva certamente agito nell’interesse della società che amministrava, in quanto l’apertura e il mantenimento dello scarico oggetto della contestazione aveva consentito all’ente di recapitare i propri reflui senza necessità di raccoglierli e smaltirli secondo la disciplina vigente.
La motivazione è apparsa idonea e corretta: l’interesse e il vantaggio per l’ente devono essere verificati in concreto e la società deve ricevere un’effettiva e potenziale utilità, ancorché di natura economica, dalla commissione del reato.
In tal senso l’interesse e il vantaggio sono valutabili anche in termini di risparmio di costi, con il risultato che si deve ritenere posta nell’interesse dell’ente e dunque fonte di responsabilità amministrativa, anche quella condotta che, come nel caso in esame, attui le scelte organizzative o gestionali dell’ente da considerarsi inadeguate con la conseguenza che la stessa azione, anche se non implica direttamente o indirettamente un risparmio di spesa, se è coerente con la politica imprenditoriale di cui tali scelte sono espressione e alla cui attuazione contribuisce, è da considerarsi realizzata nell’interesse dell’ente.