Modifica delle soglie di punibilità e misura della pena
di Luigi FerrajoliIl tema dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, reato previsto e punito dall’art.10 ter del D.Lgs. n.74/00, è nuovamente stato sottoposto al vaglio della Suprema Corte.
In particolare, la Cassazione, con la sentenza n. 9936 del 2016, è tornata ad occuparsi del delitto sotto due distinti profili. Il primo attiene l’ipotesi in cui l’imputato non abbia provveduto ad accantonare le somme effettivamente incassate a titolo di IVA nell’anno di interesse per il pagamento del debito tributario alla scadenza, con particolare riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico richiesto per l’integrazione della fattispecie, ossia il dolo generico. Il secondo riguarda invece il trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo alle soglie di punibilità.
Dopo avere escluso che nel caso di specie si potesse essere verificata un’improvvisa crisi di liquidità della società rappresentata dall’imputato, il Giudice di legittimità ha viceversa accolto il motivo di impugnazione sviluppato dal ricorrente con riferimento proprio al menzionato trattamento sanzionatorio.
Più specificamente, la Corte di Cassazione ha osservato che la Corte di appello aveva motivato l’applicazione della pena in misura superiore al minimo edittale in forza dell’importo il cui versamento era stato omesso. Tale motivazione non è stata tuttavia condivisa, in quanto, a seguito della novella di cui al D.Lgs. n.158/15, la soglia di punibilità è stata elevata ad euro 250.000,00 (rispetto ad euro 103.291,18 sussistente al momento del fatto contestato), per cui la Suprema Corte ha ritenuto che “il disvalore complessivo del fatto debba essere rivalutato, posto che la soglia svolge la propria funzione sul piano della selezione categoriale, incidendo quindi la sua elevazione, ai fini della rilevanza penale del fatto, sul complessivo ed oggettivo disvalore penale del fatto medesimo, donde ciò giustifica la necessità di una rivalutazione della congruità complessiva del trattamento sanzionatorio alla luce del predetto ius superveniens”. Con ciò, la sentenza della Corte di appello è stata annullata sul punto con rinvio ad altra sezione del Giudice di secondo grado per la rivalutazione della “dosimetria” della pena inflitta, in considerazione del fatto che l’IVA omessa è pari a poco più del doppio dell’attuale soglia di rilevanza.
Proprio in relazione a tale aspetto, la Corte ha altresì esaminato la questione inerente la particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., con riferimento alla prospettazione di parte ricorrente per cui la condotta tenuta dal medesimo sarebbe stata connotata da un modesto grado di offensività. Posto che la questione è stata già rimessa alle Sezioni Unite, la Cassazione ha comunque ritenuto che, nel caso di specie, non potesse essere ravvisata la particolare tenuità, in ragione del fatto che, come detto, l’imposta non versata era pari a oltre il doppio della soglia di punibilità. Inoltre, come da indirizzo della Corte stessa, in tema di omesso versamento IVA “la non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile solo se l’ammontare dell’imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità, poiché la previsione di quest’ultima evidenzia che il grado di offensività della condotta ai fini della configurabilità dell’illecito penale è stato già valutato dal legislatore”.
Sotto tale aspetto, la Corte ha citato una propria precedente pronuncia (Sez. 3, n. 40774/15) che ha escluso l’applicabilità della previsione di cui all’art. 131 bis c.p. per insussistenza dei presupposti sul piano oggettivo in relazione ad una ipotesi di omesso versamento per circa 112.000,00 euro a fronte della soglia di punibilità indicata in euro 103.291,30.
Infine, aspetto interessante valutato dal Giudice di legittimità riguarda la questione sollevata dall’imputato con riferimento all’irrilevanza penale del fatto in quanto, a seguito di compensazione tra l’IVA relativa al 2009 e il credito IVA inerente il periodo di imposta 2008, l’imposta sul valore aggiunto effettivamente dovuta sarebbe stata pari a circa euro 244.000,00, importo inferiore alla nuova soglia di punibilità.
Sul punto, la Suprema Corte ha viceversa ritenuto che la censura fosse infondata in quanto “il profitto del reato si identifica con l’intero ammontare del tributo non versato e, quindi, la rilevanza penale dev’essere valutata in considerazione della singola annualità d’imposta, non rilevando ai fini penali l’applicazione del meccanismo compensatorio quale forma di adempimento dell’obbligazione tributaria”.