Motivazione dell’avviso di accertamento e obbligo di allegazione
di Luigi FerrajoliCon la recente ordinanza n. 24417 del 05.10.2018 la Corte di Cassazione ha stabilito che “in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione Finanziaria di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (Legge n. 212 del 2000 articolo 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità integrativa delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la Legge n. m241 del 1990 articolo 3, comma 3. Ne consegue che all’avviso di accertamento vanno allegati i soli atti aventi contenuto integrativo della motivazione dell’avviso medesimo e che non siano sati già trascritti nella loro parte essenziale, ma non anche gli altri atti cui l’amministrazione finanziaria faccia comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva”.
L’articolo 3 L. 241/1990, nel dettare disposizioni di ordine generale sulla motivazione degli atti amministrativi, dispone espressamente che la motivazione degli stessi “deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, precisando al terzo comma che “se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile anche l’atto cui essa si richiama”.
Tale principio trova chiaro riconoscimento, in materia tributaria, nel generale principio affermato dall’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale espressamente afferma che “... se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Tale norma, pur riconoscendo che il provvedimento di accertamento possa essere motivato per relationem al contenuto di un altro atto anche se di natura istruttoria, tuttavia, espressamente subordina la legittimità di tale motivazione al fatto che l’atto richiamato sia indicato nella motivazione ed allegato all’atto impositivo, ovvero comunicato al destinatario del provvedimento, affinché questo sia posto in grado di conoscere e valutare gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche su cui lo stesso è fondato.
In relazione a tali principi la Corte di Cassazione nella ordinanza in esame ha ribadito che “nel regime introdotto dalla Legge 27 luglio 2000 n. 212, articolo 2 l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale (parti, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento”.
Inoltre, la Corte ha chiarito che “…il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e solo perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti, abbia, pertanto, mero valore narrativo), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di questi atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrare la motivazione”.
Al riguardo, è necessario ricordare che nel sistema del contenzioso tributario l’atto contro cui viene proposto ricorso rappresenta il limite massimo della cognizione del giudice, il quale non può estendere il suo esame al di fuori dei limiti soggettivi ed oggettivi rilevati dall’atto.
La motivazione dell’atto svolge, quindi, sul piano processuale la funzione di delimitare la materia del contendere, con la conseguenza che tutte le volte in cui l’atto impositivo sia stato motivato facendo riferimento al contenuto di un atto non allegato né comunicato al contribuente, quindi dallo stesso non conosciuto, i fatti e le argomentazioni nello stesso riportate non possono essere prese in considerazione in ambito processuale al fine della decisione.
I principi del contenzioso tributario impongono, infatti, al giudice di attenersi, nella delimitazione della materia del contendere, solo ai fatti riportati nell’atto impugnato, cosicché laddove si dovesse verificare che fatti determinanti a sostegno della pretesa erariale non fossero stati riportati correttamente nel contenuto dell’atto impugnato, si dovrà procedere al suo annullamento per carenza di motivazione e per violazione del diritto di difesa del contribuente accertato.