Mutui ipotecari per ripianare debiti: la banca concorre nel reato di bancarotta
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365In tema di bancarotta preferenziale integra gli estremi della simulazione di prelazione di cui all’articolo 216, comma 3, L.F., la condotta dell’impresa che prima o durante la procedura fallimentare, ottiene mutui fondiari garantiti da ipoteca utilizzati per il ripianamento dei debiti preesistenti verso la stessa banca.
Concorre quindi nel reato in esame l’istituto di credito che, vantando un credito privo di ogni privilegio o garanzia reale nei confronti di una persona in stato di decozione, concede a quest’ultimo un mutuo ipotecario, se le somme percepite a seguito della stipula vengono poi utilizzate per estinguere l’originario debito non assistito da ipoteca.
È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 31513, depositata ieri, 3 novembre.
Due fratelli avevano stipulato con la banca un contratto di mutuo ipotecario per ripianare precedenti esposizioni debitorie, e, successivamente, uno dei due aveva bonificato una cospicua somma di denaro all’altro fratello, sanando così la posizione debitoria di quest’ultimo. A causa della revoca degli affidamenti da parte della stessa banca, il fratello che aveva disposto il bonifico veniva però dichiarato fallito.
Il fallimento agiva quindi nei confronti della banca, sostenendo che la stessa accensione del mutuo ipotecario costituisse illecito penale, integrando il reato di bancarotta per distrazione o preferenziale.
Si difendeva la banca evidenziando che, all’epoca della stipulazione del mutuo non sussisteva lo stato di insolvenza del debitore, e, comunque non vi era prova che il funzionario della banca che aveva proceduto alla stipulazione ne fosse a conoscenza.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha preliminarmente precisato che, secondo la più recente giurisprudenza, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, ragion per cui, per la sua sussistenza, non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza, né la volontà di recare pregiudizio ai creditori, essendo invece sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
Come tra l’altro già precisato dalla stessa Corte di Cassazione, “l’attività distrattiva dell’imprenditore bancario non si colloca su un piano peculiare, diverso da quello tradizionale, soggetto a regole proprie, …, dovendo, invece, tale attività valutarsi alla luce dei principi costantemente affermati da questa Corte in merito all’elemento materiale e soggettivo del reato di cui all’articolo 216/1, n. 1, L.F.. … Questa Corte ha anche affermato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi sono stati commessi, e, quindi, anche se la condotta è stata realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza… Non si richiede, poi, alcun nesso (causale o psichico) tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ed impegni estranei alla sua attività” (Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 13382 del 03.11.2020).
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, dunque, la consapevolezza dello stato di decozione dell’impresa costituisce inequivocabile indice del dolo del concorrente che ha prestato il proprio contributo; ma anche nel caso in cui il dissesto (o anche solo il disequilibrio economico) dell’impresa non si sia ancora palesato, il fatto può comunque essere considerato distrattivo.
Tutto quanto sopra premesso, quindi, la Corte di Cassazione è tornata a concentrarsi sulla condotta del funzionario della banca, ritenendo quest’ultimo perfettamente cosciente che l’intera operazione “altro non era che un mero rifinanziamento ipotecario di precedenti debiti chirografari – per giunta anche di un terzo – che non trovava altra ragione che quella di favorire esclusivamente la banca erogante mediante l’estinzione, con danaro dell’imprenditore poi fallito, (anche) di una posizione debitoria di un terzo soggetto (…, fratello del menzionato imprenditore) verso la banca stessa”.