La natura delle presunzioni di acquisto e cessione
di Luigi FerrajoliCon la recente sentenza n. 13979/2016 la Corte di Cassazione si sofferma sull’ambito di applicazione delle presunzioni di cessione e di acquisto stabilite in materia di Iva e sulla rilevanza che le stesse assumono in sede processuale.
La società A. S.p.a., in persona del legale rappresentante, aveva ricevuto un avviso di accertamento ed un avviso di rettifica riguardo agli importi di Iva, Irpeg ed Ilor relativi all’anno 1996 scaturenti, secondo le valutazioni compiute dall’Ufficio, “dall’omessa fatturazione di vendite di prodotti petroliferi risultanti mancanti in sede di verifica, nonché dall’omessa fatturazione dell’acquisto di propano denaturato, risultato in eccedenza rispetto alle giacenze contabili”.
Dopo un primo accoglimento parziale di entrambi i ricorsi della Commissione Tributaria Provinciale, la Commissione Regionale, pur accogliendo l’appello della Società, aveva ritenuto comunque adeguata la motivazione esposta negli atti impositivi emessi dall’Ufficio.
Il giudice d’appello aveva sostenuto, infatti, sulla base della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti del legale rappresentante della società divenuta definitiva, che la mancanza di propano-butano, già riscontrata dal giudice di primo grado, “sia ascrivibile ad una procedura di denaturazione del prodotto non contabilizzata per errore, che dà conto altresì dell’eccedenza del propano”.
Contro la sentenza della CTR ha proposto ricorso l’Agenzia lamentando la violazione dell’articolo 53 del D.P.R. 633/1972, letto in combinato disposto con la disciplina civilistica degli articoli 2727 e 2729 cod. civ., laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva considerato da soli sufficienti, ai fini del superamento delle presunzioni legali relative di acquisto dei beni reperiti nel luogo ove la società esercita la propria attività e di cessione dei beni ivi non rinvenuti, gli elementi di prova testimoniali o peritali emersi dalla sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti del rappresentante legale della società.
La Suprema Corte respinge la contestazione avanzata dalla società la quale ha affermato che a far valere le presunzioni stabilite dal D.P.R. 441/1997 (cui il già menzionato articolo 53 del D.P.R. 633/1972 rinvia) è la circostanza che le mancanze e le eccedenze in questione siano state riscontrate “nell’unico deposito della società e non già in luoghi diversi da quelli in cui la contribuente esercita la propria attività”.
La Cassazione coglie così l’occasione per chiarire alcuni aspetti riguardo la disciplina dettata sulle presunzioni in materia di Iva nel D.P.R. 441/1997 dichiarando espressamente che le medesime operano nelle specifiche ipotesi indicate dal legislatore e che non sono idonee in alcun modo ad essere superate dagli elementi rilevati dalla sentenza penale di assoluzione.
Sul tema, è bene ricordare che il sistema delle presunzioni predisposto dal legislatore in ambito tributario, nonostante esso rinvii alla disciplina privatistica, deve ascriversi alle c.d. presunzioni juris tantum, ossia quelle per le quali è ammessa la dimostrazione della prova contraria da parte del contribuente.
Nello specifico, esse sono state definite come “ipotesi di natura mista” in ragione del fatto che il mancato ritrovamento di beni, i quali in realtà dovrebbero essere presenti presso la sede della società, è possibile che sia dovuto tanto da una cessione di beni compiuta senza l’emissione della relativa fattura quanto dal verificarsi di ulteriori e diversi accadimenti. In tali casi, il legislatore ha stabilito una distinta disciplina probatoria: difatti l’evento materiale, che cagioni la distruzione o la perdita del bene, può essere dimostrato con qualunque mezzo, mentre per le altre ipotesi di traslazione della proprietà del bene a titolo definitivo occorre tener conto necessariamente dei stringenti limiti stabiliti dalla normativa specifica dettata in tema.
Così la Cassazione nella sentenza citata torna a precisare che tali presunzioni devono essere annoverate “tra le presunzioni legali miste, che consentono la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova prefigurati dal legislatore e da quest’ultimo previsti per evidenti fini antielusivi” e che pertanto, tali limiti di oggetto e mezzi di prova non possono essere desunti da una sentenza penale come avvenuto nel caso di specie in sede di appello.
Inoltre, è necessario tener conto che l’istituto delle presunzioni di cessione ai fini Iva trae comunque spunto dalla disciplina prevista in ambito civile; ciò comporta che le stesse debbano essere valutate secondo i noti parametri di gravità, precisione e concordanza per mezzo dei quali poter desumere un fatto ignoto da un fatto noto.
Lo scopo perseguito dal legislatore mediante la fissazione di tali presunzioni legali è quello di semplificare e rendere meno gravosa l’applicazione del diritto, oltre quello di tutelare interessi specifici. Nel settore tributario, è pressoché evidente come si voglia favorire il Fisco nella sua peculiare attività di riscossione dei tributi ammettendo da un lato la possibilità per il contribuente di addurre prova contraria, ma dall’altro restringendone i limiti di validità.
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