Ne bis in idem: al giudice nazionale l’accertamento della violazione
di Francesco RizziLa Grande Sezione della Corte di Giustizia UE si è recentemente pronunciata sulla vexata quaestio della violazione del principio del ne bis in idem in caso di cumulo tra sanzioni tributarie amministrative e penali nella trattazione di una fattispecie di omesso versamento dell’Iva.
Ci si riferisce alla sentenza del 20 marzo scorso nella causa C-524/15 con cui la Corte UE ha chiarito e per certi versi anche innovato, l’esegesi del combinato disposto
- dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (secondo cui “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è stato già assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definita conformemente alla legge”);
- del successivo articolo 52, paragrafo 1 (secondo cui “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”)
- e dell’articolo 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (secondo cui “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. … omissis …”).
Orbene, secondo la Corte “L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa
- sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,
- contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e
- preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.
Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso”.
In estrema sintesi, la Grande Sezione della Corte UE precisa che se da un lato il ne bis in idem deve essere considerato come un principio cardine per la tutela dei diritti dei cittadini europei, dall’altro lato, proprio la stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ne consente delle limitazioni per ragioni di interesse nazionale, purché rispettino il principio della proporzionalità. Principio, quest’ultimo, che “richiede che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto da una normativa nazionale … omissis … non superi i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa … omissis …” (cfr. par. 46 della sentenza in commento).
Infine, la Corte, oltre a chiarire quali debbano essere i criteri in base ai quali la normativa domestica possa legittimamente derogare al principio del ne bis in idem rispettandone il contenuto essenziale, evidenzia anche come l’accertamento del rispetto di tali criteri debba essere svolto in concreto dal giudice nazionale.
Ciò desta invero alcune perplessità (che si spera risulteranno infondate), per il fatto che tale assunto possa comportare un’eccessiva elasticità interpretativa da parte dei giudici domestici, arrivando a giudicati discordanti su fattispecie analoghe e con effetti negativi sia in termini di tutela dei diritti dei contribuenti che in termini di efficienza in generale dell’ordinamento giuridico nazionale ed europeo.