Nella tassazione nominale della vecchia CFC non rileva il socio
di Ennio VialLo scorso 6 aprile l’Agenzia delle Entrate ha diramato i principi di diritto n. 5, 8 e 9 in tema di disciplina sulle controlled foreign companies di cui all’articolo 167 Tuir. In questa sede ci focalizzeremo sul principio n. 9 che ha fornito delle indicazioni in merito alla corretta determinazione del livello impositivo nominale. Come evidenziato dall’Ufficio si tratta di una disciplina superata dal decreto Atad a partire dal 2019.
Fino al 2018, in estrema sintesi, un paese estero extracomunitario è considerato paradisiaco se il livello nominale di tassazione è inferiore al 50% di quello nominale italiano.
Viene ribadito, in perfetta aderenza alle indicazioni contenute nella circolare 35/E/2016, che si deve considerare l’Ires e l’Irap con le aliquote ordinarie, senza tener conto di particolari maggiorazioni.
Viene altresì ricordato che, per il Paese estero, vanno considerate le corrispondenti imposte sul reddito delle società facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni vigente con lo Stato di volta in volta interessato.
Il principio di diritto, tuttavia, pone l’accento sul fatto che le imposte da considerare sono solo quelle societarie e non anche quelle scontate dal socio.
In altre parole, l’Agenzia afferma che “ai fini della verifica delle condizioni previste dall’articolo 167, comma 4, del Tuir, il termine di confronto da utilizzare dal lato estero non può che essere la sola imposta sul reddito cui è soggetta la società estera, mentre non rileva la tassazione che subiranno i soci al momento dell’effettiva distribuzione dei redditi”.
Secondo l’Agenzia tale principio era desumibile già dalla circolare 35/E/2016. Infatti, a conferma del fatto che il livello di tassazione nominale cui si riferisce la norma in commento è quello dato dall’imposta sul reddito delle società, soccorre la medesima circolare laddove suggerisce che “Al fine di individuare in maniera agevole i regimi fiscali privilegiati, è possibile consultare le aliquote nominali vigenti sui siti internet istituzionali dei vari ordinamenti esteri oppure nella banca dati dell’Ocse sul sito: http://stats.oecd.org//Index.aspx?QueryId=58204 ; sul sito internet della Banca Mondiale o di altri istituti o centri di studio e ricerca internazionali“. Purtroppo, il link non è più funzionante.
Le conclusioni dell’Ufficio possono essere in prima battuta condivisibili. È evidente che se la disciplina CFC tenesse conto anche della tassazione dei dividendi successivi, soprattutto se considerati a livello teorico e non effettivo, la disciplina stessa imploderebbe su sé stessa e non avrebbe più ragione di esistere.
È quasi ovvio che se il livello nominale di tassazione del Paese estero è basso i dividendi saranno poi tassati in modo importante creando un fenomeno di compensazione.
La distribuzione dei dividendi, tuttavia, potrà essere valorizzata in sede di dimostrazione della vecchia esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lett. b) relativa all’effettivo assoggettamento a tassazione dei redditi. Sul punto si nota un approccio tutto sommato liberale dell’Ufficio nella risposta all’istanza di interpello n. 254 del 17 luglio 2019.
Il principio di diritto appare forse troppo stretto nel caso in cui si approccia la società estera trasparente. Si supponga che la società estera non paghi imposte sui redditi societari ma che queste siano dovute dai soci italiani che – per intenderci – devono presentare una sorta di quadro H nel paese estero. Possiamo ritenere questa società direttamente rientrante nella disciplina CFC?