Nelle operazioni soggettivamente inesistenti è richiesto il dolo specifico
di Marco BargagliCome noto, ai fini penali tributari, il legislatore ha previsto pene molto severe finalizzate a contrastare le forme più insidiose di evasione fiscale attuate mediante l’emissione o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, nell’ambito della c.d. “frode carosello”.
In tale ambito, l’organizzazione criminale utilizza le “società cartiere”, soggetti economici che non presentano dichiarazioni né ai fini delle imposte sui redditi, né ai fini Iva e, contestualmente, emettono fatture per operazioni inesistenti.
La società cartiera:
- non esercita una vera e propria attività industriale e commerciale e, normalmente, viene amministrata da un mero prestanome (c.d. “testa di legno”).
- non presenta le prescritte dichiarazioni;
- non dispone di locali commerciali, non ha dipendenti, né attrezzature;
- si costituisce come S.r.l.;
- viene tendenzialmente posta in liquidazione dopo pochi mesi dalla sua costituzione.
A tal fine appare opportuno ricordare che la frode fiscale viene articolata sulla base di una duplice direttrice:
- mediante l’emissione di fatture oggettivamente inesistenti, nella particolare ipotesi in cui il contenuto del documento fiscale documenta operazioni non realmente avvenute;
- tramite emissione di fatture soggettivamente inesistenti, quando le operazioni documentate sono intercorse tra soggetti diversi da quelli risultanti formalmente quali parti del rapporto (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I – parte I – capitolo 1 “Evasione e frode fiscale”, pag. 10 e ss.).
A livello operativo, lo schema evasivo vede l’interposizione di soggetti (c.d. “missing trader”) che effettuano acquisti da parte di soggetti localizzati in ambito comunitario di beni appartenenti ad una determinata categoria merceologica (es. autovetture, telefoni cellulari, personal computer) per rivenderli, in rapida scansione temporale, ad un altro soggetto (c.d. “interponente”), attuando poi una cessione imponibile ai fini Iva, effettuata sul mercato domestico nei confronti di un soggetto residente in Italia.
In merito, giova ricordare che la sussistenza della frode fiscale deve essere adeguatamente dimostrata e documentata dagli organi di controllo e dai verificatori, fornendo la prova dell’accordo fraudolentemente posto in essere tra interposto ed interponente finalizzato ad ottenere gli indebiti benefici fiscali, nonché della consapevole partecipazione alla frode stessa dei diversi soggetti che, a vario titolo, risultano nella stessa coinvolti (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 6 “Il riscontro analitico – normativo sull’osservanza della disciplina IVA”, pag. 202 e ss.).
Accertata la presenza di una frode fiscale, si rende così applicabile la sanzione prevista dall’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, rubricato “Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, il quale contempla la reclusione da quattro a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi.
Simmetricamente, nei confronti dell’emittente della fattura per operazioni inesistenti, si rende applicabile la sanzione prevista dall’articolo 8 D.Lgs. 74/2000, in base al quale è punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Importanti principi di diritto in tema di interposizione fittizia e responsabilità penale sono stati diramati dalla suprema Corte di cassazione, nella sentenza n. 16576/2023 del 19.04.2023, nella quale è stato confermato che la fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha eseguito la prestazione consente a quest’ultimo di evadere le imposte, integrando la fattispecie penale prevista dall’articolo 8 D.Lgs. 74/2000.
Sul punto, gli Ermellini hanno ricordato che:
- l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è funzionale a consentire a terzi l’evasione anche dell’Iva;
- il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
- il principio secondo cui il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, deve trovare continuità ed è applicabile anche quando non siano stati individuati il soggetto o i soggetti che abbiano erogato la prestazione.
In definitiva, confermando la responsabilità penale per la fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti e la piena applicazione dell’articolo 8 D.Lgs. 74/2000, i giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che la fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente eseguito la prestazione è funzionale proprio a consentire a quest’ultimo di non emettere la fattura e, quindi, di non risultare come debitore dell’Iva, e, quindi, come soggetto giuridicamente obbligato al versamento della stessa secondo le scadenze periodiche previste dalla Legge.
Inoltre, se il reale autore della prestazione “coperto” dalla falsa fattura non viene individuato, il mendacio documentale raggiunge appieno il risultato illecito di tenere quest’ultimo indenne dal debito per l’Iva verso l’Amministrazione finanziaria.